25/12/17

PIZIA, SACERDOTESSA DI APOLLO



 Pizia, sacerdotessa di Apollo

     Se ne sta in silenzio e sorride, ed io la guardo. Ma non so chi vedo: una fata del bosco, una dea, oppure una povera donna fuggita dal mondo ostile.
    Il sole del tramonto illumina il suo viso. Pizia tace. Vorrei conversare, trovare le parole adatte. È pregnante, tuttavia, il silenzio, e dolci sono i suoi occhi, grande la serenità che lei irradia.
    - Perché sei felice? - le chiedo.
    - Che domanda! Chiedimi qualcosa di più logico.
    - Che vuoi che ti chieda? Da dove sorge la luna?              
    - Sì, parlami della luna.
    - È chiara, eterea, come te, e tu sei anche luminosa... di luce tua.
    Pizia mi guarda e tace ancora. Le mie parole passano attraverso di lei. Non c'è una resistenza che le fermi, un ostacolo da cui possano rimbalzare e tornare come eco, come senso del loro significato. Io continuo a parlare, parlare... ma carezzarla vorrei, abbracciarla, perdermi in lei, come la sua casa è persa nel bosco.
    Tu, donna beata, ti sei piantata nella terra come un albero e non hai bisogno di parlare. Racconti chi sei nel silenzio. Hai amato, hai portato in grembo la vita. E adesso non più cerchi ma mediti, preghi e aspetti, come la terra che  attende di  raccogliere i semi portati dal vento.
    Mi chiede se desidero prendere una tisana. Potrebbe offrirmi altra cosa con lo stesso sorriso dolce e il tono fermo della voce, ed io risponderei allo stesso modo: “Sì, grazie”.
    Si muove con grazia, come una principessa, o come una santa.    
    Sento una forte emozione. Mi meraviglio della capacità e della prontezza del mio cuore nel trovare un nuovo forte oggetto di desiderio. Ma insieme al desiderio sento un incantamento, una commozione, una soggezione, e tutto questo insieme.
    Lei invece è calma. Nel suo modo d'essere contenuto e pago non sembra percepire il mio sentimento, o non se ne interessa. Lei è in sé, per sé, e questo è forse il motivo del suo fascino.
    La tisana è pronta, servita su di un rudimentale vassoio posato su un piccolo tavolo d’ebano.
     Pizia sorseggia la bevanda, tiene la tazza tra medio e pollice, e il mignolo libero si protende leggermente all'infuori come uncino ove vanno ad agganciarsi le mie sensazioni.
   Lei sorride calma, come il timoniere che conosce il mare e guida il battello con perizia tra le onde.
    Il mio sguardo si volge alle sue gambe perfette, poi risale al suo volto, poi la coglie d’insieme. Una donna fine, preziosa, come una figurina Meissen.
    E adesso, quindi, che fare, cosa dire per restare dentro regole della sua ospitalità? O forse devo semplicemente essere, stare li, tranquillo, arrendermi, lasciare a lei l’iniziativa.
    Osservo il disegno colorato e complesso di una mandala tibetana appesa a una parete. E poi, guardando in basso vedo di nuovo le sue caviglie sottili. Accavalla le gambe. Appaiono per un attimo le sue mutande gialle. 
    Lei può leggermi in viso l’emozione. Sorride. L'abbraccio. Le sfilo le scarpe e poi le calze e quindi lei stessa ulteriormente si scopre, lentamente.
    Lei è fresca, profuma d'aria marina, di vento leggero che m’inonda. Si distende sul letto. Questa è l’alcova ove avrà più volte amato innumerevoli viandanti, ma adesso trovo inutile immaginare il suo passato, che non mi appartiene. I suoi occhi sono perduti dentro il suo piacere.

    Pizia, sacerdotessa di Apollo, tu sei il dono divino alla mia vita prima priva di senso, che adesso trovo in te, nella tua essenza d’amore puro.
   Tu in te stessa compiuta, fai l'amore con le stelle, con gli alberi, con le pietre, coi fili d'erba. Ti fai carezzare dal vento, lo senti sulla pelle, e ti spinge, ti solleva, ti agita, e tu lo ricevi e non pensi a nulla, ma il tuo fiume d’amore intanto nasce dal tuo cuore e scorre e mi bagna. Sei felice, e quant'è bella la vita. Se pensi alla transitorietà di tutte le cose, allora tanto più sei grata d'essere viva, giovane. Quant'è bella la vita, e tu vai in estasi mistica, fuori di te per la grande tua gioia.

    La libera scioltezza dei suoi movimenti mi incanta e sono ancor più incantato, anzi abbagliato, dalla luce dei suoi occhi, dai loro improvvisi e saettanti lampi: occhi che esprimono il desiderio dell’amante e nello stesso tempo sembrano appartenere a una dimensione altra da cui osservano l’effimero presente. E, quindi, in questa diversa dimensione risiede la peculiarità della sua condizione, cioè di solitudine e di consapevole distacco dal mondo. Ma è un distacco certamente carico di amore, che non esclude la presenza: è, se vogliamo la condizione necessaria e perfetta per l’unione armoniosa dello ying e dello yang. E in tale unione, il cielo stesso sembra vacillare e tutto il mondo scomparire, e anche il tempo, lasciandoci solo il piacere e la forza del contatto di corpo e cuore. 
    In alto nei cieli la luna attraversa le nubi diffondendo su di noi la sua luce bianca morbida e vibrante che ci inebria e ci fa ancor più impazzire d’amore. Ed io voluttuosamente divoro i suoi baci, come realizzando pienamente che l’amore è una corrente eterna che scorre in noi e anela di essere riconosciuta e liberata da ogni argine.
    Quando ci separiamo la breve notte estiva è già entrata nella luce.

      Ho notato nel tuo viso l'arricciamento di un sentimento. Riesco a sentire il tuo essere. Per un istante guardo dentro la finestra aperta del tuo cuore, che sembra non celare segreti. Ti ammiro nella tua intima stanza, ma quando le pareti diventano trasparenti, la stanza non c'è più, ed io guardo attraverso, nell'infinito.
    Ti parlo, ma forse le mie parole non t’interessano più di tanto. Forse credi che io abbia i miei pensieri privati e poi li racconti, ma non è vero. Si nasce già nei pensieri degli altri, che diventano i nostri, e poi uno crede di essere libero mentre pensa. Ma non si è mai liberi, a parte quando c'è silenzio.
    E adesso il silenzio ti sorregge, in esso galleggi come su di un mare grande.
  
    Mi guardai attorno, osservai lo spazio pieno di oggetti sacri che era allo stesso tempo, in un certo senso, vuoto, vuoto di pensieri. Un vuoto che gonfiava le pareti e faceva pressione su di esse e sembrava voler esplodere, cercare un luogo infinito.
    Pizia si alzò. Era bruna nei capelli ma di carnagione chiara, e i suoi occhi sembravano osservare un paesaggio lontano. Si muoveva con leggerezza, camminava come se posasse i piedi sulle nuvole, come se fosse fatta d'aria, eppure aveva un corpo.
   Proprio quando credevo di non poter più essere vittima dell’illusione amorosa, ecco. mi trovavo adesso irretito nel suo incantesimo. Di nuovo il fascino di una donna, la sua pregnante presenza, recavano in me sbalordimento. Pensai anche che adesso la situazione fosse diversa; e Pizia era diversa e sentivo, come mai prima, che tutto in lei era amabile: i suoi occhi, la sua voce calma e suadente, i suoi sorrisi.
    L’esperienza mi faceva credere che l’amore di per sé può essere un gran disordine delle emozioni, se non un’alterazione della mente, ma adesso insieme a Pizia mi sentivo riconciliato con me stesso e con la vita, e non avevo mai provato tale completezza.
    Finalmente mi realizzavo, comprendevo chi ero, ma non potevo raccontarmi, perché ogni parola sarebbe stata inutile e incompleta per descrivere il senso della mia vita tra le sue braccia.

    Il mattino seguente l'ammirai con voluttà mentre entrava nelle acque del ruscello. La vedevo, sentivo un desiderio forte, una voglia di essere una goccia d'acqua e di scivolare sulla sua pelle di seta.
    L'attesi. Presi in mano un libro, lo sfogliai. Riflettevo sulle parole, e anche sullo spazio tra una parola e l'altra, tra una frase e l'altra, tra un rigo e l'altro. Lo spazio vuoto ai quattro bordi della pagina poteva anche interessarmi. E poi, ogni tanto, ogni certo numero di pagine, tra un capitolo e l'altro, trovavo un'intera pagina vuota, a volte due. Volevo comprendere quel vuoto; doveva avere un senso, altrimenti non sarebbe stato li.
    Poi rividi Pizia che si abbandonava nell'acqua, felice. Pensavo a lei, consideravo, ma tra un pensiero e l'altro si apriva uno spazio vuoto di silenzio ed io mi ritrovavo in esso, e lei si carezzava la pelle, dolcemente.
    Io guardavo il cielo. Adesso riuscivo a percepirlo chiaramente, tanto era concreto, avvolto in se stesso e attorno agli alberi, posato sulla terra e coprendola di azzurro. Tutto il mondo era distante, lontane erano le vie affollate di uomini indaffarati, e da questo lato, sulla terra, non c’era nessuno, tranne Pizia, felice, e il gorgoglio dell'acqua che scorreva. 
    Uscita dall’acqua mi abbracciò. Mi disse: ti amo.

Io la guardai negli occhi e vidi una luce. Non altro cercavo che quello sguardo. Non altro cerchiamo se non lo sguardo di chi ci ama. Seguiamo mille fantasmi e tralasciamo l'essenziale, ciò che la nostra anima agogna: amore.

    Ma questa parola è abusata, una chiave che passa dappertutto.
    Amore, per amore abbiamo cantato gli inni di guerra. Per amore abbiamo sentito il dolore, siamo stati torturati, siamo stati vittime, martiri innocenti, cavie. Per amore siamo stati assassini, come la leonessa che per amore dei cuccioli sbrana la gazzella; per amore abbiamo affondato il coltello nel cuore di nostro fratello. Per amore inquiniamo l'aria, per amore tagliamo le foreste, per amore inganniamo, per amore odiamo.
    - Quello di cui parli è l'amore per il profitto, per la crescita e il progresso; - Pizia mi disse triste, - gli adoratori del profitto amano, ma non sanno, non sanno che il loro amore è letale. Amano, vogliono vivere, e non sanno che la loro vita uccide. Non sanno.
    - Tu sai?
    - Nella notte vedo le ombre, i fantasmi, le oscurità dell'anima, ma non parlo, aspetto.
    - Cosa aspetti?
    - Aspettavo te.
    Pizia mi guardò di nuovo con intensità. Leggevo nei suoi occhi amore, l'amore di una pizia, di una principessa dell'anima.
    Ascoltavo le sue parole dolci, che erano anche un grido: ti amo.
    Aveva la pelle bianca, gli occhi neri. Era il giorno e la notte, l'essere e il vuoto dell'essere.
    Anch'io l'amavo. Il nostro amore esplodeva nelle pieghe della carne. Lei danzava, libera, in uno spazio senza fine, cullandosi su e giù tra le onde alte e profonde del sentimento. Lei c'era. Lei era tutto per me.

    - Domani andremo al centro commerciale per comprare le candeline, - mi disse, - sono l'unica cosa che ci manca.
    Infatti, avevamo tutto ciò che era veramente necessario. C'erano i cereali, le indivie, c'erano le rape, le patate e i cavoli, i legumi, la manna, i datteri. C'era anche la legna per la stufa, e c'era l'acqua nel pozzo.
    - Per me non sono tanto importanti, sai, - le risposi.
    - Andiamo lo stesso, non abbiamo bisogno di niente ma forse, vedendo tante cose, ci verrà qualche desiderio, e se poi non vorremo nulla, allora compreremo solo le candeline per la torta.
    - Senti Pizia, lo sai, la tua presenza mi commuove e mi basta, non andiamo tra la folla. Starei intere ore a guardarti, a sentirti. Spesso di notte osservo la luna, anzi, la osserviamo insieme e non parliamo, è v'è nel nostro silenzio una grande presenza, Invece quando vado al centro commerciale mi manca il respiro.
    - Strano, perché ti succede?
    - Non so, nel centro commerciale divento nessuno in una folla di persone. Le puoi vedere, si accalcano, aspettano in fila, coi carrelli colmi della loro felicità.
    - Si affrettano con i loro acquisti verso il loro destino - mi rispose Pizia sospirando.
    - Sembrano avere una direzione, un chiaro desiderio, ed io invece sono rimasto un bambino, che non sa, che non è sicuro.
    - Dentro la torre di controllo, nella cabina di comando, il capitano è sicuro, e naviga verso il naufragio.
    - E allora anche lui non sa? O sono io il solo a non comprendere?
    - Chi comprende? Ci affolliamo nei centri commerciali, desideriamo, compriamo, consumiamo, e intanto la terra muore, gli orsi polari si estinguono, gli elefanti vengono trucidati, le case degli innocenti sono bombardate, la luna sorge dal mare intasato di plastica. I re della terra sono inebriati di vanità, i politici di menzogna e corruzione. I campi fertili inaridiscono, si combatte per il potere, le armi prodotte dai ricchi sono vendute ai poveri. Fiorisce il Pil e muore la vita. C'è un grido, un grido vano che vibra chiuso nelle pieghe recondite della materia, dell'anima, e ogni uomo beve l'amaro calice, e Dio non lo salva.
    - Perché Dio non interviene? Non ci ama?
    - Ha bisogno del nostro aiuto... riesce ad amare solo attraverso di noi.
    - E tu, Pizia, mi ami?
    - Sì, io ti amo.
    - E allora restiamo qui, non andiamo al centro commerciale. Non sopporto vedere l'acqua delle fonti imprigionata in bottiglie di plastica. Stiamo qui, sotto la luna, testimoni della vita che rinasce dal vuoto, dalla tenebra; un germoglio che forma le sue radici nel nostro cuore.
    - Sì, è così, solo l'amore ci salva, e ci fa rinascere. Potrebbe salvare il mondo, ma gli uomini si rivolgono altrove, vivono per il profitto, e non guardano più le stelle.
    - A me basta stare con te e ascoltarti; raccontami il tuo amore, parlami, Pizia.
    - Io ti amo, ma non chiedermi parole. Come potrei con le parole raccontarti... le parole sono effimere come le nuvole in cielo. Oltre le nuvole c'è una stella mai vista, mai raggiunta dal nostro pensiero, un astro che ruota perenne, che brucia se stesso fino a un lontano morire. Allo stesso modo questo nostro amore eterno arde in silenzio, senza un tintinnare di parole. Ma se parlo è facile dirti: ti amo.
    - Dimmi quindi che il nostro amore è eterno.
    - L'amore non dura, come la nostra vita, ma è per sempre, come la vita.
    - Mi ami quindi per sempre?
    - Ti amo, e le mie parole vibrano, e poi cadono nel silenzio, e poi rinascono e risuonano nel sentimento. Essere e non essere. Amare e non amare. Andare e tornare. L'onda sulla spiaggia va e viene, carezza la sabbia e poi si ritira nella sua profondità. E per sempre ritorna, riaffiora, si espande, si riforma spumeggiando e si dispiega in superficie.
    - Essere e non essere?
    - Vivi sempre nel presente, e il tuo presente sia ricco, sii consapevole nel parlare e sia dolce il silenzio; sia l'ascolto, siano le parole d'amore, sussurrate come dolce incantesimo; sia la verità; sia il sorriso da regalare liberamente come un tesoro senza fine; sia la gentilezza come luce che brilla perenne nel tuo cuore; sia la speranza realizzata per il bene tuo e di chi ami; sia l’auto conoscenza; sia l'utopia di un mondo migliore, che diventa realtà perché tu ci credi, perché insieme lo creiamo. Sia, e... essere o non essere... questo non sia un problema.

    Il mattino seguente lei mi offrì il caffè d'orzo. C'era amore nei suoi occhi, nella sua pelle di seta, nelle sue mani che deponevano le tazze sul tavolo. Si sedette accanto a me. Taceva. Non c'era nulla da dire, perché l'amore vero è muto.

   Poi mi disse:
    - Adesso dobbiamo andare a prendere le candeline per la torta.
    - È proprio necessario? - io le risposi.
    - Certo, le candeline fanno parte della cultura e non si vive solo di riso integrale. Vieni, andiamo.
    Nel centro commerciale ci mescolammo tra la folla, spingendo il carrello.
    - Guarda quante cose! Cosa desiderare? Cosa comprare?
    - Non saprei... non desideravo queste cose prima di vederle e, a dire il vero, non le desidero neanche adesso, non ho bisogno di niente.
    - Ho capito, sei un vero monaco.
   - Lo pensi veramente?
    - Si vede subito.
   - Grazie.
   - Vieni, le candeline sono vicine.
    - Le candeline erano belle e colorate e furono riposte nel fondo vuoto del carrello.
    Tornammo nella casa del bosco e Pizia mise le candeline sulla torta di grano e miele e le accese.
    - Oggi è il compleanno di Apollo e dobbiamo festeggiare. Vieni, soffiamo sulle candeline.
    Soffiammo contemporaneamente e fu così che una dolcezza apollinea cadde dolcemente nel nostro presente, dove ci trovammo immemori.

    Ci abbracciammo ammirando le stelle.
    - Qui si vedono ancora, non le hanno oscurate - disse contenta.
   
    La notte… c'era la notte da questo lato, e dall'altro lato, nelle luci delle grandi città, luccicavano le tenebre del mondo.

    - Che faremo domani? - le chiesi.
    - Cercheremo di stare svegli, di prestare attenzione a ciò che ci circonda, e leggeremo i messaggi che Apollo vorrà inviarci.
    - Cosa vuole Apollo da noi?
  - Desidera solo che noi conquistiamo la notte e scorgiamo la sua luce.
    - C'è luce nella notte?
   - Sì, ogni estremo contiene il suo contrario: nella notte fitta ci sono le stelle, e c'è la luce di Apollo nel nostro oscuro inconscio.
   - Come possiamo vedere questa luce?
   - Dobbiamo stare svegli, perché il profitto, nostro avversario, si aggira come una iena affamata tra di noi e cerca di divorarci. E dobbiamo affidarci a Dio.
    - A quale dio, ad Apollo?
    - No, anche il dio Apollo ha fiducia in Dio.
    - In Zeus quindi.
    - No, Dio non ha nome.
    - E se non ha un nome, chi è?
    - Non se ne può dire nulla, ma se ne avverte la presenza quando v'è assoluto silenzio.
    - Io sento un dolce silenzio tra le nostre parole.
    - Lasciamo che si espanda, sprofondiamo in esso, smettiamo di parlare, ascoltiamo la Sua voce.
*** *
Racconto tratto da "La Venere rubata" che puoi continuare a leggere qui:
 http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/351359/la-venere-rubata/