17/07/17

CHRISTINE ROM



    
 Inseguire desideri fatui, correre qua e là, volere questo e quello... tante vie per impazzire.
    Abbandona ciò che è fuori. Coltiva ciò che è dentro.
                              Lao Tzu   

CHRISTINE ROM

E LE DIMISSIONI DEL PAPA


nuova stesura
 con la presentazione di Elisabetta Di Lernia,
la recensione di Sergio Di Giacomo
e la postfazione dell’autore



la versione cartacea del romanzo è in vendita nel sito
ilmiolibro.it



*
Presentazione 
   Quale potrebbe essere l'evoluzione futura del nostro presente? E chi potrebbe essere in grado, se ascoltato, di modificarlo? Ovvero di non farci raggiungere l'abisso della catastrofe totale?
  Christine Rom, la protagonista di questa storia, è una zingara, anzi... una Rom. Figura emblematica dell’intolleranza della nostra società nei confronti della diversità. Se in passato sarebbe stata avviata in campo di concentramento, così come accadde a tanti della sua “razza”, nel presente verrebbe sicuramente isolata e discriminata, sia per il suo essere rom che per le idee rivoluzionarie che manifesta. E questo in quanto Christine agisce, comunica ed esprime se stessa, all'interno di una società conformista e conformata che crede in un unico dio, che lei si rifiuta di riconoscere: il dio Euro. E questo fa di lei un elemento destabilizzante, che, in quanto tale, deve essere isolato e controllato.
   Christine, infatti, utilizza linguaggi diversi da quelli normalmente in uso, linguaggi derivanti da un passato arcaico, dimenticato, che ha radici profonde e ancestrali, risalenti alla figura della Grande Madre.
  Nel testo l'autore induce il lettore a continue riflessioni, utilizzando il metodo della contrapposizione, sia nella scelta delle tipologie umane messe in campo, sia proponendo prospettive diverse dalle quali osservare il mondo: il femminile e il maschile, il rispetto, l'amore e la sottomissione; l'ecologia e l'armonia interna e, per contro, il Potere e la distruzione; la Grande Madre e l'Euro.
    Tutti i personaggi femminili del romanzo, irradiano positività, e si dimostrano capaci di trasformare e trasformarsi, mentre quelli maschili sono capaci di trasformarsi positivamente, se lo vogliono, solo se influenzati dalle figure “femminili”.
    Un romanzo generoso e coraggioso, che esce dai soliti schemi, per esplorare un mondo apparentemente lontano, in quanto dimenticato, un mondo in cui il ruolo della donna era tenuto in considerazione, in quanto armonico simbolo dell'origine del mondo e della vita.
   (…) “Per cambiare il mondo ci vorrebbe l'esempio di donne sagge, felici, sagge come te, donne che comprendono e valorizzano l'essere più che l'avere, la gioia, più che l'orgoglio, il piacere più che le medaglie di guerra” (…).
    Dobbiamo dunque auspicarci che le donne incomincino ad essere temerarie come Christine, che imparino a sottrarsi a quella che è la mentalità corrente, maschilista, distruttrice, non ecologista, non meritocratica, burocratizzata e guerrafondaia. E questo non attraverso una guerra fra i sessi, bensì attraverso la riscoperta del principio femminile che è in ognuno di noi. E che poi, alla fine, è ciò che Christine, incarna veramente.

Elisabetta Di Lernia



CHRISTINE ROM

E LE DIMISSIONI DEL PAPA


Prologo

    Giudici della corte suprema di Euro, ascoltate la mia difesa. Da ragazzo sono stato educato a Londra e poi mi sono laureato alla scuola economica di Francoforte. Ho sempre agito nell’osservanza scrupolosa della legge dei nostri padri, pieno di zelo per Euro, come i miei colleghi finanzieri possono testimoniare. Io non mi curavo dei poveri, e perseguitavo gli zingari. Tuttavia, mentre ero in viaggio, una luce sfolgorò dinanzi ai miei occhi  e sentii una voce che mi diceva: “Paul, perché mi perseguiti?”.
    “Chi sei tu?” io risposi.
     “Io sono Christine, figlia della gente che tu perseguiti. E adesso risvegliati, prosegui verso Bulla, lì riconoscerai l’amore di nostra madre e si compirà il tuo destino”.

                                                     

CAPITOLO PRIMO

CHRISTINE

Per strada

    L’espressione intensa del volto di Christine ti colpiva. I suoi occhi sembravano rivelare un senso nascosto, un segreto, o un’indefinita promessa. Si intravedeva nel suo sorriso, nell’intensità del suo sguardo a tratti lampeggiante, un non so che di primitivo e nello stesso tempo ammaliante e dolce.
    Indossava una gonna lunga e un’aderente camicia sotto una pesante giacca. Era ben formata e di statura media, con la vita sottile e i fianchi larghi, ma non troppo. Il suo viso era rotondo e regolare, con occhi neri e vivi, un naso piccolo leggermente storto verso destra, e tra labbra carnose apparivano denti regolari e bianchi. I suoi piedi si mostravano nudi dentro sandali di plastica. Procedeva eretta, fiera, a passi lenti, quasi meditati. Il cieco fato l'aveva posta sulla strada, ma se si fosse trovata altrove, mostrando lo stesso portamento, ma elegantemente vestita, l’avrebbero considerata una gran signora. Chiedeva l'elemosina, ma sembrava recitare una parte, come una brava attrice che svolge un ruolo umile nel teatro della vita ed è sicura di sé e cosciente del proprio valore. Christine era bella, giovane, paga di sé, ed era una nomade. Era pur felice, e la felicità, si sa, non è razzista. Da parte sua non aveva pregiudizi contro i gage né li invidiava; pur chiedendo la loro elemosina li trattava con disinvoltura, come se non avesse un vero bisogno di soldi. Verso Paul nutriva lo stesso atteggiamento. Accettava le sue elemosine ma non mostrava riconoscenza, a parte il dono di un sorriso fugace e denso.
    La prima volta che la vide, Paul la desiderò con inatteso sussulto dell’anima e con inspiegabile turbamento, quasi una soggezione; sentimenti questi che, rivolti a una donna come lei, dovettero apparirgli incongrui.
    Paul viveva a Londra ed era finanziere e manager di una multinazionale. Era un uomo che molti avrebbero definito una persona normale, e manifestava talvolta qualche comune pregiudizio su fatti e persone, soprattutto verso chi gli pareva socialmente inferiore. Anche le donne egli tendeva a giudicare con sufficienza. Da loro, o meglio, da quelle che cercavano un marito ricco e non brutto, era stato molto corteggiato. Ma era stato sempre preso dal lavoro, e intanto gli anni erano passati e non si era sposato.
    In estate era solito trascorrere le vacanze in Sicilia. Viaggiava in aereo da Londra a Catania, prendeva quindi un treno per Bulla e, ivi giunto, si sistemava nell’esclusivo hotel Margroz, vicino alla spiaggia, ma non molto distante da una località malfamata ove le autorità avevano relegato un gruppo di indesiderati nomadi. Capitandogli a volte di scorgerli, Paul li osservava con disprezzo. Pur tuttavia ogni mattino, appena fuori dall'hotel, incontrava Christine, e gli veniva la voglia di fermarsi e ammirarla. Christine attendeva e poi, al suono di una moneta che cadeva in un bicchiere di plastica, gli regalava un sorriso.

    Paul la salutò e le diede dieci euro, che erano tanti per un'elemosina, ma irrilevanti di fronte al valore di un grande sorriso. Paul non volle mettere i soldi dentro il bicchiere di plastica che lei gli porgeva, ma glieli diede in mano, per sentirne il contatto. Le loro dita si toccarono per lunghi secondi. Lei aveva mani fredde, ma per Paul erano come una frescura che lo pervadeva piacevolmente.
    - Come stai? - le chiese.
     Christine si aprì in uno sguardo luminoso che Paul non poté ricambiare. Nella luce di quegli occhi vivi e penetranti brillava la sua stessa anima. Era solita inclinare leggermente il capo su di una spalla in un atteggiamento di riflessione e di riposo che nello stesso tempo invitava baci e carezze, con gli occhi che non fissavano nulla in particolare e sembravano assorbire tutto il presente intorno a lei, o l’essenza delle cose, con l’espressione serena e felice del volto. Non portava alcun trucco; non era incipriata e non aveva le labbra e le ciglia dipinte, ma la sua pelle e il suo sembiante mostravano la vitalità e il rigoglio della giovinezza che non aveva affatto bisogno di cosmetici.
    Ora, improvvisamente, di fronte a lei, osservandola e ascoltando la sua voce, Paul aveva la sensazione di non aver vissuto. Si sentiva scosso e una vita nuova sembrava adesso mostrargli la sua dolce intensità.
    I capelli di Christine erano ben pettinati e dietro la nuca andavano a raccogliersi in una folta coda.
    - Hanno bei riflessi d'oro, - le disse.
      Christine portò le mani dietro la testa e con gesto rapido slegò il nodo dei capelli, che le caddero dolcemente sulle spalle.
    - Ho visto un cassonetto della spazzatura che mi sembra interessante, - disse.
    - Dove? - chiese Paul.
    - Qui vicino, dietro la stazione.
    Christine guardò Paul. Gli lanciò uno sguardo penetrante, colmo di ardente vitalità, che era anche un tacito e irresistibile invito a seguirla.
    S’incamminarono verso la stazione. Si ritrovarono in un’ombrosa stradina.
    - Qui, - disse Christine.
    In piedi accanto a Paul, lo tirò per il braccio e lo trattenne in un gesto spontaneo e innocente sorridendogli, e lui intese: si sporse in avanti e sollevò il coperchio del cassonetto. Christine si mise a frugarci dentro cercando qualcosa.
    - Ho trovato! - esclamò, - è una borsetta nuova, di pelle. - E se la mise sottobraccio. Poi rimasero insieme, muti, fermi per alcuni momenti non riuscendo a salutarsi e andar via. La luce grigia del tardo pomeriggio estivo svaniva lentamente. Paul si volse intorno scorgendo l’insegna di una pizzeria.
    - Vieni a mangiare qualcosa, - le disse.
    - Non vai a cenare all'hotel? – lei gli chiese.
    - Stasera no, ho voglia di una pizza, e sarei contento di gustarla in tua compagnia, vieni, entriamo.
    Un gatto riposava raggomitolato su di una sedia. Christine lo notò con sorpresa, poi si sedette. Si mise a osservare le posate, le prese in mano.
    - Dobbiamo mangiare con queste? - chiese sorridendo, e Paul non capì se dicesse sul serio o scherzasse.
    Ordinarono le pizze. Christine era raggiante. Il gatto, prima tranquillo, saltò adesso all'improvviso sulle sue ginocchia.
    - Giovanni, mio caro Giovanni, mi hai riconosciuta! - lei esclamò, e si mise a carezzarlo.
    - Siete amici? - chiese Paul.
    - Sì, ci siamo conosciuti in una vita precedente.
    - Dici sul serio? - ribatté Paul.
    - Sì, - disse lei decisa.
    - Credi in quello che dici?
    - Credo in ciò che so. D'altra parte la reincarnazione esiste. Lui era Giovanni.
    - Era un certo Giovanni, tuo amico, in una precedente vita, e adesso è un gatto?
    - Molti ritornano come gatti. Talvolta è preferibile; sono naturalmente in armonia con se stessi, sono esseri spirituali e amano Dea. La loro condizione è spesso migliore di quella umana, soprattutto adesso, nel nostro mondo.
    - Un uomo è sempre superiore a un gatto.
    - Gli uomini sono impazziti, corrono, cercano di acquisire, diventare, arrivare in qualche punto futuro che credono migliore, e sfugge loro il presente, la vita, che è solo qui, adesso, e se non vivi adesso, non vivi appieno; mentre i gatti sono saggi, immersi nell'eterno presente; alcuni di loro sono maestri zen, reincarnazioni d’illuminati uomini del passato, e da loro possiamo apprendere tante cose, se solo li osservassimo, - disse Christine. 
    - Non sapevo che tu fossi una della New Age, Christine, - disse Paul che non si decideva se essere divertito o disturbato.
    Giovanni saltò sul tavolo, inarcò il dorso e raddrizzò la coda, guardò Paul con occhi umani e miagolò. Poi ritornò sulle ginocchia di Christine e si mise a fare le fusa.
    - Hai sentito le sue parole? - chiese Christine.
    - Che ha detto?
    - Ti ha salutato.
    Lui pensò che Christine fosse matta, eppure rimaneva da lei fortemente attratto, anzi ipnotizzato dai suoi occhi scintillanti, penetranti, profondi, e dalla sua voce allo stesso tempo dolce e convincente. La folle passione amorosa di Paul era una forza eterna che sentiva scorrere in ogni piega del suo corpo e anelava ad essere ricambiata.
    - Chi sei tu? - le chiese.
    - Non lo sai? Tutti dicono che sono una nomade.
    - Tu sei diversa.
    - Secondo te chi sono? Come mi vedi tu?
    - Non so, sei libera, e mi sembra che tu sia legge a te stessa, senza maestri da seguire.
    - Se uno ha veramente la necessità di avere un maestro, deve stare attento e ponderare, compiere una giusta selezione su chi potrebbe esserlo. Io noto la presenza del mio maestro nel sorriso di un bimbo, nel volto di chi ama, ma anche nello sguardo del folle, nella desolazione del misero, nella sofferenza dell’abusato, del malato. Vedo il mio maestro nel bel mezzo della gioia o della disperazione. Sì, lo scorgo chiaramente, e lo riconosco, ricevo la sua grazia, ma quando lo vedo soffrire non posso fare molto per lui, mio povero sofferente figlio di Dio, che è in croce, messo in croce dagli amanti dei soldi, del potere e del successo. E lui, quindi, abbandonato in croce anche da suo padre, nella sofferenza si manifesta come il mio vero maestro.
    - Forse gli rassomigli... era uno senza casa, disoccupato, abbandonato dagli uomini e da Dio, e senza soldi, come te.
    - Io non sono abbandonata... Dea mi guida e mi sorregge. Una madre non abbandona mai i suoi figli.
    - Ecco perché sei felice...

    Alla fine della cena, mentre si salutavano, Christine apparve a Paul ancora più affascinante.
    Il contatto delle loro mani fu mediato da una banconota.
    - Sei meravigliosa, - le disse dolcemente, cercando i suoi occhi. Ma Christine non gli ricambiò lo sguardo e si volse oltre, in alto, per osservare una nuvola solitaria che solcava il cielo come un dragone volante.
    Anche Paul la notò, poi si rigirò verso Christine, che adesso si allontanava. Sentì una grande sensazione di separazione; una cupa nuvola gli attraversava il cuore. Si fece buio e brillavano le stelle. Paul non aveva mai avuto tempo di guardarle, e nella sua Londra non si potevano scorgere, sempre oscurate com'erano da mille luci artificiali. S'incamminò per il lungomare. Osservò un chiarore rossastro che s’insinuava tra le cupe onde e attese quindi il sorgere della luna. Poi osservò in lontananza un filare di alberi secolari, che gli apparvero dapprima come grandi oscure ombre e quindi, da vicino, come esseri senzienti, come se fossero consapevoli dei suoi stessi pensieri.
    Poi, di sera, prima di andare a letto, ripensando alle azioni del giorno trascorso, non si capacitava. Si chiedeva come avesse potuto lui, uomo ricco, affermato, serio, indugiare insieme ad una zingara di fronte a un cassonetto della spazzatura, sollevarne il coperchio per dare modo a lei di rovistarci dentro. Quale forza ipnotica l’aveva spinto a commettere una tale prima inconcepibile e assurda azione? E cosa avrebbero mai pensato i suoi amici finanzieri se l’avessero visto? Avrebbero pensato che fosse uscito fuori di senno, e l’amore, si sa, è talvolta una forma di pazzia.

Mario, l'eremita

    C’erano delle ore del giorno, usualmente il pomeriggio, in cui Christine non si vedeva in giro e Paul irrequietamente si chiedeva dove fosse.
    S’incamminò verso i luoghi ove lei era solita sostare. La scorse da lontano mentre parlava con un passante. Christine infine restò sola e camminò allontanandosi. Per alcuni secondi Paul osservò il suo incedere lento ed elegante, poi si mise a seguirla.
    La pedinò fino in fondo ad una via di periferia prima passando vicino a vecchie case di mattone rosso e poi costeggiando un filare di maestosi pini; quindi in aperta campagna per un viottolo solitario che conduceva ai piedi di una grande roccia, oltre la quale rallegravano la vista verdi e fiorite colline. Christine sorpassò la roccia e scomparve alla vista.

    Il giorno seguente, spinto da grande curiosità, ed essendosi prima accertato che Christine fosse per strada a mendicare, Paul rifece lo stesso percorso e arrivò dinanzi alla roccia che si ergeva al centro di un giardino di maestosi alberi. Avvertì tutt’intorno una grande silenzio e sentì la strana sensazione di un tempo come fermo e denso nel presente. A ridosso della roccia si ergeva una modesta costruzione di legno. La porta d’ingresso era aperta. Paul notò un locale spoglio, il cui pavimento era coperto da tappeti persiani. In un angolo, al lato sinistro di un’ampia finestra, era appesa un'icona con l'immagine della Madonna. Sotto di essa, seduto per terra, un uomo era assorto in meditazione. Si accorse costui della presenza di Paul e lo invitò a sedere su di uno sgabello, e lui restò rannicchiato a lato, sul tappeto. Poi richiuse gli occhi, abbassò la testa e congiunse le mani in atto di preghiera. Passarono pochi secondi che a Paul parvero lunghissimi. Fuori cominciava a cadere la pioggia.
    Mario guardò Paul negli occhi. Paul abbassò lo sguardo e gli venne spontaneo congiungere le mani. Adesso entrambi sembravano raccolti in preghiera.
    - Benvenuto, resti qui a ripararsi dalla pioggia. Viene da lontano? - disse Mario con voce serena e profonda.
    - Vengo adesso da Bulla ma sono inglese.
    - Viaggia spesso da queste parti?
    - Sì, ogni estate, mi attira la primitività del luogo e la quiete della campagna circostante.
    - La grazia divina si manifesta nella quiete. 
    - Non vorrei disturbarla.
    - Per niente, sono sempre solo ma ogni tanto mi piace incontrare qualcuno e conversare.
    - Lei vive qui come un eremita? Non ce ne sono tanti, - disse Paul.
    - Sì, potrei essere un eremita.
    - Mi posso permettere di chiederle i motivi di questa sua scelta? Vive da solo perché odia gli uomini?
    - No, assolutamente – rispose imperturbato Mario – non li odio ma preferisco starmene alla larga.
    - Perché?
    - Dopo soli pochi anni di soggiorno su questo pianeta ho notato che alcuni dei i suoi abitanti sono superficiali, avidi, disonesti, aggressivi ed egoisti. Mi sono quindi appartato a pregare per loro. Inoltre, amo molto la compagnia di me stesso, la natura, e soprattutto il silenzio. E forse lei sa bene che gli abitanti di Bulla sono in maggioranza vanamente loquaci.
    - E tuttavia le piace conversare.
    - Sì, ogni tanto e, quindi, di cosa parliamo? Cosa mi vuole raccontare? Perché è venuto fin quassù?
    La voce di Mario vibrava suadente.
    Paul si sentì incongruo, sospeso tra la voglia di parlare e l’istinto di salutare e andarsene. Scrutò il volto dell'eremita e vi lesse una grande disposizione all’ascolto.
    - Passeggiavo e ho notato la roccia, anzi, per dire il vero, intendevo capire dove fosse scomparsa, o si fosse nascosta, una persona che ieri avevo seguito fin qui - disse Paul, e subito dopo si pentì di aver rivelato il suo piccolo segreto.
    Mario di nuovo ricongiunse le mani. Poi osservò l'ospite in modo penetrante. Vi furono dei momenti di silenzio per Paul imbarazzanti. Da una parte continuava a sentirsi incongruo e, d'altra parte, percepiva che il religioso era realmente ospitale.
    - Lei mi vuole parlare forse, quindi, di un suo rapporto con una donna? - chiese Mario.
    - Con una zingara.
    - Spero non sia solo una zingara per lei, ma un essere umano.
    - Sì, un essere umano che mi tormenta.
    - Si riferisce a Christine... donna bellissima e misteriosa, felice e gentile, sempre sorridente.
    - Sembra che la conosca molto bene.
    - È una donna vera, un avatar.
    - Avatar?
    - Sì. Le donne avatar sono divinità, manifestazioni sublimi della femminilità multiforme, e lei ha avuto la fortuna di incontrarne una.
    - Un avatar che mi fa venire il dolore di testa.
    - Le credo. Le donne ci turbano talvolta.
    - Sarà così, ma Christine è diversa: una mendicante, ma orgogliosa e felice, una donna sorridente e sfuggente. Non mi dà pace.
    - Perché è un problema per lei? - chiese Mario.
    - Mi affascina molto, moltissimo, ma mi irrito quando mi avvedo che ha tanto potere su di me. La incontro e mi ammalia, mi ipnotizza.
    - Questo è l'effetto che Christine ha su di lei, quindi?
    - Sì, mi ipnotizza, e al tempo stesso sento di fronte a lei una commozione, una dolce sensazione che non ho mai provato prima.
    - E non è una cosa buona questa?
    - Sì, ma non si affeziona, non mi è riconoscente, mi sfugge.
    - I nomadi non sono quasi mai riconoscenti; chiedere è il loro lavoro; loro lavorano e i gage danno. E poi infine cosa danno? Solo una piccola moneta per toglierseli di torno.
    - Gage?
    - Con questo termine i nomadi definiscono i sedentari. Loro sono rom, vale a dire uomini, questo è, infatti, il significato della parola, mentre gli altri sono gage.
    - Non siamo uomini per loro?
    Mario chiuse gli occhi, abbassò la testa, si grattò la fronte.
    - Cos'è un uomo? - disse perplesso, - ci sono pochi uomini. Nasciamo con una certa predisposizione a diventarlo, ma pochi ci riescono. Più che altro siamo bestie, bestie particolari, che riescono a pensare.
    - Pensare è già qualcosa.
    - Se lei osserva la nostra situazione, lo stato del nostro pianeta, si avvede che il pensiero non è servito molto. Ma non parliamo di questo, torniamo a lei, al suo sentimento. Diceva quindi?
    - Dicevo che quando vedo Christine provo una forte commozione, una grande intensità in mezzo al torace.
    - Il chakra del cuore.
    - Il cha…?
    - Il plesso solare, centro delle emozioni; si captano, si trasmettono, passano da lì. Christine le comunica il suo stato interiore. Adesso, a contatto con un cuore sano e forte di donna, avviene un contagio, si attua una comunicazione; la grazia trabocca dal luogo ove è abbondante. Questo è un buon segno, significa che lei intende, percepisce che Christine è una donna speciale... perché è felice, ed è felice perché è benedetta dalla grazia, e inoltre possiede alcune siddhi.
    - Siddhi?
    - Poteri spirituali.
    - Grazia, siddhi, poteri spirituali, che sono? - chiese Paul.
    - Sono i poteri della natura, della psiche. Il mistero esiste, anche se tentiamo di spiegarlo partendo dai più vari approcci. E qui senza dubbio ci troviamo di fronte a fatti reali, concreti, seppur misteriosi.
    - Quali fatti reali?
    - Le persone emanano energie, soprattutto le donne, perché sono più naturali, cioè più profonde e forti, a parte il fatto che spesso sono più astute, duttili, intuitive. Più un essere è naturale, più è naturalmente forte, più è benedetto dalla grazia, più energia emana, influenzando gli altri.
    - Personalmente non credo a questi influssi; niente che la scienza abbia dimostrato.
    - La scienza è diventata come una religione in cui le persone comuni, senza parlare degli scienziati, hanno fede cieca. Molti credono che possa darci delle risposte assolute e definitive,
    - Si basa sul principio della riproducibilità e misurabilità dei fenomeni, e tutto ciò che invece non si può misurare, quantificare, non ricade nell'ambito della scienza, - interloquì Paul.
    - È vero, ma oltre all’evidenza scientifica v’è quella relazionale, che si comunica e si percepisce direttamente. E Christine comunica la certezza della felicità, che forse non è un dato scientifico, oggettivo e riproducibile, ma chi ha una certa sensibilità l’avverte. E ciò spiega il motivo per cui molti la cercano, desiderano parlare con lei, trovarsi nel raggio della sua influenza. E lei, Paul, è uno di questi. Ma lo sono anch’io, forse più di lei, anche perché io non ho molta fede nella scienza, e non sono neanche molto razionale.
    - Non lo è veramente?
    - Forse sarebbe meglio dire che non sono imbevuto del veleno cartesiano.
    - Che c'entra Cartesio?
    - Sì c'entra, secondo me è uno sconsiderato che ha diviso il soggetto dall'oggetto, la materia dall'anima, e non ha capito che i confini sono solo pensati, mentali, che tutto vive nell'unità, in Dio.
    - Sarà pure come lei dice, eremita, ma io sono io e Christine è Christine, non siamo un tutt'uno, mi sembra ovvio; ma mi sono assurdamente legato a lei e sto male quando non la vedo.
    - Quando le è vicino ne subisce l'influenza benefica ed equilibrante, e si sente bene e poi, lontano da lei, ritorna in sé, nella sua ordinaria modalità esistenziale, nei suoi pensieri abitudinari e meccanici. Il suo malessere è un fattore endogeno, lei sta male forse perché si chiude, rifiuta, pensa. Provi a rilassarsi, ad aprirsi completamente all'amore di Christine e vedrà che il dolore svanirà per incanto.
    - Christine mi ama dunque?
    - Certo, Christine ama, ama molto, e per questo è felice, pur essendo una mendicante povera; ma non ama lei in particolare, Paul. Christine irradia amore, allo stesso modo come il sole irradia luce ovunque e a chiunque.
    - Come avrebbe acquisito Christine il suo potere spirituale, le siddhi di cui lei parla?
    - È nata così, è un'anima buona, semplice, e adesso svolge un gran lavoro di ricerca spirituale.
    - Io la vedo mentre ricerca soldi!
    - Non si fermi all'apparenza, non giudichi un essere umano secondo l'immediata condizione in cui lo coglie. Non dimentichi che anche Buddha era un mendicante, e molti illuminati e antichi filosofi non possedevano nulla, eppure erano maestri di saggezza. Anche Gesù viveva di carità, era un povero transeunte. Nessuno può negare questa verità. In realtà, gli illuminati, i santi, i grandi ricercatori, gli amanti della saggezza, sono poveri, e lei non li vedrà mai persi in mille beni, appesantiti da mille cose, e neanche da mille pensieri. Abbandonano ciò che è fuori, coltivano ciò che è dentro, vivono nel loro centro, non all’esterno, nelle cose possedute. I saggi sono poveri, sono liberi, sono ricchi. Anche Christine è ricca, e lei lo vede, lo sente. Forse è questo che la turba? Christine compie inoltre, come le dicevo, un'assidua ricerca interiore.
    - Come?
    - Concentra la mente, la libera dai pensieri inutili, dai sentimenti pesanti. Stende la mano ove il passante caritatevole depone l'obolo, e nello stesso tempo prega e medita; l'ha fatto per anni, ed è ancora giovane, diventerà una santa.
    - E pregando quindi, e meditando ha perfezionato i suoi poteri spirituali?
    - Certo, e sono gli stessi poteri che anche noi abbiamo, o che avremmo se non ci disperdessimo in mille pensieri e distrazioni, in tante azioni inutili se non dannose. Se, invece di vivere continuamente presi da stimoli artificiali, noi vivessimo immersi nella natura, in riva al mare, o di fronte ad una montagna, se osservassimo con distacco l'incessante flusso dei nostri pensieri, delle nostre fantasie, delle nostre emozioni, se concentrassimo tutte le nostre energie in un punto di silenzio invece di guardare stupidi programmi televisivi, invece di far soldi derubando i poveri, adesso saremmo più felici, e non andremmo da Christine a mendicare un briciolo di felicità. E allora i veri mendicanti siamo noi. Sì, in realtà è così, anche se le nostre case sono piene di tesori.
    - Lei è un tipo strano, eremita, mi consenta.
    - Rifletta anche sulla sua stessa anima, se lei capisse e amasse se stesso, se scoprisse e realizzasse dentro di sé la forza e la pace della sua più profonda interiorità, non avrebbe bisogno di cercare fuori di sé.
    - Veramente?
    - Christine le indica la via verso un tesoro che è nascosto dentro di lei, Paul. Lei sta cominciando a risvegliarsi. Non perda la sua vita, si risvegli e Dio la colmerà di grazia.
    Paul non rispose. Era imbarazzato; pensava di averne avuto abbastanza di quelle prediche e se ne sarebbe andato se qualcosa non l’avesse ancora trattenuto. Aveva allo stesso tempo sensazioni contrastanti; non condivideva affatto le parole di Mario, tuttavia le aveva ascoltate attento.
    Restarono entrambi in silenzio. Paul guardò fuori dalla finestra. Le foglie di un possente eucalipto continuavano ad assorbire la pioggia. Una gazza saltava tra i rami. Scomparve, riapparve più in alto, poi spiccò un improvviso volo nel cielo grigio, e svanì. Paul ritornò con lo sguardo nella stanza. L'eremita gli sorrise. C'era una luce nei suoi occhi. Adesso Paul avvertiva una sensazione di tranquillità, che infine lo conquistava.
    - Lei è sereno eremita? - chiese.
    - Sì, perché me lo chiede?
    - Profondamente sereno?
    - Sì.
    - Vorrei esserlo anch'io, che devo fare? Sborserei qualsiasi somma per vivere sereno.
    - La serenità si può comprare? – chiese Mario.
    Smisero di parlare. Poi si salutarono abbracciandosi e Paul tornò pensoso all’hotel Margroz. Certo non capiva Mario, le sue idee e la sua scelta di vita radicalmente diversa, e tuttavia nutriva uno strano sentimento di ammirazione nei suoi confronti; pensò che un uomo deve essere di una certa levatura per sentirsi sereno senza fare niente.

Christine e Mario

    Rimasto solo, Mario si mise a osservare gli alberi del giardino: possenti eucalipti, abeti, pini mediterranei. Oltre il giardino si scorgevano colline ricoperte d’erica.
    La mente di Mario era libera, immersa nel presente. Attraverso la sua pratica di meditazione era riuscito a conoscere ed espandere lo spazio che esiste tra i pensieri. Se ne stava, quindi, a contemplare la natura in silenzio, senza seguire i vari pensieri ripetitivi e automatici che potevano ancora  saltargli in mente, e neanche i ricordi. Un ricordo era, lui credeva, una forma di sogno; il passato viene trasformato nella memoria, reinterpretato, ricreato e quindi sognato. E quando gli venivano dei ricordi, o dei flash improvvisi del passato, non indugiava nella rimembranza, ma lasciava comparire le immagini senza opporre resistenza, e non le tratteneva perdendovisi.
    Chi l'avesse osservato non l'avrebbe creduto un uomo felice, se per felicità s'intende una qualche piacevole eccitazione delle emozioni. Mario non era "felice", era sereno, immerso in un profondo silenzio di pace. E il leggero suono di passi che adesso si udivano sembrava legarsi armoniosamente al silenzio. Mario si volse intorno e il sorriso di Christine lo colmò di splendore. E lei lì, di fronte a lui, se ne stava silente, e ogni parola sarebbe apparsa superflua. Si riabbracciarono, poi si misero entrambi seduti a contemplare la natura.
    Si sentì l'abbaiare di un cane. Una grande luna rossa s’inerpicava su per i rami di un eucalipto, mentre la notte sopraggiungeva da oriente.
    Fu Mario il primo a parlare.
    - Oggi ho ricevuto la visita di un tipo originale, uno straniero.
    - Forse era Paul?
    - Sì, sembrava molto interessato a te.
    - Vero, viene ogni giorno a trovarmi, è generoso.
    - Mi sembra proprio innamorato.
    - Non sarai mica geloso?
    - Sì, forse.
    - Non ne hai motivo. Pensiamo piuttosto a come dobbiamo comportarci con questo povero gage.
    - Ti sta tanto a cuore la sua sorte?
    - Non saprei, mi fa tenerezza, è un uomo molto ricco, ma solo e perso, e viene sempre da me a mendicare compagnia e affetto. Vorrei aiutarlo, ma come?
    - Lo aiuti già così come sei, senza fare altro che essere te stessa. La sua anima dà segni di vita, si ravviva alla presenza del tuo cuore grande, di fronte alla tua immotivata gioia. Intuisce che esiste un altro regno, ove si fa a meno di tante cose inutili; ove si sta bene anche senza dormire nell'esclusivo hotel Margroz. Tu sei spensierata, lieta, la tua gioia si diffonde intorno a te, e Paul subisce la tua influenza.
    - Forse, ma che influenza posso esercitare su di un uomo che ha valori così diversi dai miei?
    - Il saggio agisce senza sforzo, ammaestra con calmo esempio.
    - Io sono più povera che saggia e i poveri non sono mai stati di esempio per nessuno, tanto meno per le persone che hanno soldi.
     - Per cambiare il mondo ci vorrebbe l’esempio di donne sagge, felici, affascinanti come te, donne che comprendono e valorizzano l'essere più che l'avere, la gioia più che l'orgoglio, il piacere più che le medaglie di guerra.
    - Pensi che se solo le donne fossero diverse, il mondo cambierebbe?
    - Sì, certo, se solo cessassero di amare i soldi e gli uomini ricchi. Purtroppo anche le donne si sono snaturate.
    - Basta con questi discorsi, - disse Christine. Mario tacque e lei si mise a raccogliere delle more selvatiche.
    - Il silenzio di poc'anzi è ritornato, - disse lei in un sussurro.
    - È una benedizione.
    - E tuttavia, sai Mario, oltre a pregare e meditare  dovremmo forse pensare di più alle cose pratiche della vita.
    - A cosa ti riferisci?
    - I perturbamenti climatici mi preoccupano. Le stagioni non esistono più, gli inverni sono freddi, insopportabili, e d'estate non so come vestirmi, fa freddo, fa caldo, ci sono tempeste, alluvioni.
     - Che possiamo farci? Il nostro contributo all’effetto serra è minimo, anzi nullo. Non abbiamo l’auto, non consumiamo niente, non bruciamo combustibili.
    - Potremmo forse andare ad abitare insieme, in una casa di mattoni.
    - Dici sul serio?
    - Sì, l’ho pensato diverse volte. Sai, i ricchi, pur producendo molta anidrite carbonica con i loro suv, eccetera, sono tuttavia più protetti, possono sopravvivere bene in queste condizioni, hanno case provviste di condizionatori, di riscaldamento, ma noi siamo indifesi.
    - È vero.
    - Adesso il nuovo sindaco di Bulla sta costruendo delle case per i poveri.
    - In quale parte di Bulla, mia amata Christine?
    - Ricordi quella passeggiata che abbiamo fatto sotto le stelle, lungo la spiaggia di... non ne ricordo il nome.
    - Era la spiaggia di Maregrosso.
    - Sì, esatto, è lì dove costruiscono le nuove case popolari.
    - È un bel posto, ma è anche pieno di spazzatura. A stento si può camminare tra rifiuti vari.
    - Potremmo pulirlo, potremmo vivere in riva al mare. Lì potresti continuare a fare l'eremita, tutto solo sulla spiaggia, e potresti parlare con i pesci, i gabbiani, mentre io andrei in città a chiedere l'elemosina.
    - Non è una cattiva prospettiva, Christine.
    - Ne sei convinto, lasceresti quest’eremo?
    - Credo di sì.
    - Andremo a parlare con il sindaco, quindi, per chiedergli un alloggio?
    - Christine, con te vivrei ovunque, anche in una casa di mattoni; riuscirei anche a vivere una vita normale, lascerei il mio eremo, tanto desidero possederti, per sempre.
    - Sciocco, l’amore non può che essere libero, come il canto di un uccello nascosto che non conosci e non vedi. Ma se l’afferri e lo chiudi in gabbia perisce perché non è nato per essere posseduto ma per volare. Ecco perché la musica dell’amore si stona se gli amanti stanno sempre legati, imprigionati nelle abitudini, nel passato e nelle attese. Vivremo insieme e nello stesso tempo saremo liberi. 
    Mario la prese per mano e la tirò a sé, dolcemente. Christine chiuse gli occhi. Si concentrava, sentiva e assaporava le proprie interne reazioni, si stringeva in se stessa prima di aprirsi all'amore. Lui continuò a carezzarla, lei emise suoni acuti e leggeri, come il richiamo di un misterioso animale della foresta.

Paul resta solo

    Forse già dai primi anni di vita le anime si mettono alla ricerca l’una dell’altra. E infine, pur dopo lunghi anni di peregrinazioni e di falsi ritrovamenti, alcune si incontrano, ed il loro reciproco riconoscimento è immediato e non causato dal desiderio ma da una certezza interiore salda seppure non razionale. Paul credeva che il suo incontro con Christine fosse stato predestinato e si sentiva legato a lei da una forza naturale e irresistibile. E forse più nulla avrebbe potuto ostacolare il loro futuro cammino insieme; niente li avrebbe mai  divisi.
    Ma intanto se ne stava chiuso il povero Paul in camera pensando a lei, desiderandola. L'aveva cercata invano per tutto il pomeriggio, presso l'hotel, sulla spiaggia, al semaforo. Aveva acquistato per lei dolci, yogurt, una collana.
    Svitò il coperchio di uno dei vasetti di yogurt, cominciò a gustare. "Ecco il gusto che lei avrebbe sentito, - pensò - ma per me è amaro". Provava una grande mancanza, sentiva un forte desiderio di stringerla, baciarla, carezzarla. Paul innamorato soffriva le pene d'amore, come mai prima, e nello stesso tempo era consapevole della difficoltà della situazione. Era ricco, ma anche tanti anni più vecchio di lei. Ciò che ancor più lo rattristava era il sospetto che ciò che lui possedeva in quantità, con cui poteva comprare tutto, non avesse gran significato per lei. Christine sembrava avere un rapporto leggero con il danaro, raccoglieva i soldi dell'elemosina come un bimbo prende sassolini colorati sulla spiaggia, ci gioca un po’ e poi se ne dimentica, rincasa spensierato, e il giorno seguente torna in spiaggia a cercare, immemore di tutto, immerso nel suo gioco, nel presente.
    Perché era giovane e forse incosciente, credeva Paul, Christine non pensava al futuro, non sapeva che quando non si è più giovani, e nessuno più ti cerca e ti ama per quello che sei, per la tua bellezza svanita, per la tua forza venuta meno, allora i soldi possono darti delle consolazioni; distribuendoli in giro con discernimento puoi ottenere ciò che da giovane ti avrebbero regalato. Paul conosceva quindi la sua forza, che però non valeva per Christine. Eppure lei gli sorrideva sempre, gli mostrava interesse e affetto, e lui si rendeva conto che era spontanea, sincera, libera da ogni calcolo.
    Finì di gustare lo yogurt e, distratto dal rimbombo di un tuono, si alzò da tavola e si affacciò al balcone. Il mare era fosco e agitato, infinito nella sua negritudine, fondendosi all'orizzonte con un cielo senza stelle. Feroci saette tagliavano a tratti le tenebre, venti vertiginosi portavano un diluvio d'acqua, stracciavano rami via dai tronchi sollevandoli in aria. E anche il suo cuore era in tempesta. "Sono vecchio e solo, - pensò, - ma ho un mucchio di soldi, che non so neanche a chi lasciare quando morirò, forse alla società per la protezione dei gatti randagi. Se dovessi scegliere la forma in cui reincarnarmi, - continuava a pensare, - prediligerei quella di un gatto, o di uno zingaro, come Christine, sì, uno zingaro tra gli zingari; non hanno nulla e non hanno neanche pensieri, vagano come passerotti beccando qua e là qualche elemosina, e se arriva il freddo li colpisce in pieno, se viene il dolore li prende, ma se viene la gioia, la più intensa, non li coglie impreparati. Vivono. Io invece mi sono chiuso per trent'anni dentro un ufficio e non ho visto i tramonti, le aurore, non ho ascoltato il canto degli uccelli in primavera, e non sono stato amato da nessuno; sesso, sì, amori a pagamento, anche quelli che sembravano veri. Ero troppo ricco per essere amato sinceramente, e il luccichio della mia ricchezza oscurava ogni mia altra qualità. Nessuno mi ha visto, nessuno ha guardato dentro il mio cuore, e adesso gli occhi neri di una zingara mi penetrano, mi scrutano, mi conoscono, mi amano. Ma lei ama tutti; potrei essere chiunque e lei mi amerebbe allo stesso modo".
    Paul uscì in balcone, guardò in alto. Tra tempestose nubi apparve una stella. La osservò attentamente e sentì più forte la solitudine. Poi richiuse le imposte, cercò di dimenticare se stesso, ma non vi riuscì. Mille pensieri gli ruotavano in testa e sentiva un dolore, una sensazione di restringimento, di insopportabile separazione da tutto e da tutti.

Paul confessa a Christine il suo amore

    Dopo una notte insonne Paul si vestì e scese a fare colazione. Poi uscì, attraversò il cancello dell'hotel e la cercò con lo sguardo. Christine era presente, sorridente, ammaliante.
    - Dove vai? – gli chiese.
    - Non so, - Paul rispose.
    Gli occhi neri di Christine lo scrutarono e Paul si sentì scoperto, nudo. Tanto valeva parlare francamente.
    - Ho un problema.
    Il volto di Christine divenne serio e interrogativo.
    - Che problema?
    - Ti penso sempre.
    - E allora? – Christine rispose in un sussurro.  
    - Ti penso sempre, - ripeté Paul con visibile emozione.
    - Non venire più da me, - lei disse in tono deciso.
    - Sai che non è possibile, Christine, non essere dura con me. Ho bisogno di parlarti.
    - Va bene, ma non qui per strada.
    - Dove, quando?
    - Nel pomeriggio. Cammina lungo la spiaggia, raggiungi un villaggio di baracche tra le quali riconoscerai la mia: è quella posta sotto l'albero di ficus. Vieni verso le quattro. E adesso vai, fammi lavorare, - Christine disse in tono distaccato, ma poi gli sorrise dolcemente e Paul ne fu lieto.
    Tornò al Margroz, passò il mattino giocando al biliardo con un cameriere, poi consumò un pasto caldo, in fretta, senza tanto gustarlo, immaginando Christine e pensando a quello che le avrebbe detto. Le avrebbe confessato ogni sentimento, ogni speranza; le avrebbe detto di essere cosciente della differenza di età, di cultura, ma avrebbe anche tentato di convincerla che l'amore non conosce barriere. Le avrebbe fatto delle offerte chiare e allettanti: l'avrebbe portata a Londra, le avrebbe intestato un conto in banca, le avrebbe dato una bella casa, mille oggetti di valore. Pensò poi, però, che forse non sarebbe stato opportuno farle apertamente tante promesse; Christine avrebbe potuto offendersi, rifiutare, per orgoglio, per non sentirsi comprata. Sarebbe stato quindi discreto, le avrebbe solo detto di amarla molto e che per lei era capace di qualsiasi pazzia, e lei avrebbe compreso. E tuttavia, neanche questo secondo approccio, considerò, sarebbe stato sicuramente efficace; Christine avrebbe capito i sottointensi? Non sarebbe stato meglio, invece, trattando con una zingara, lasciare da parte le implicite promesse e offrirle subito qualcosa di concreto? Come avrebbe reagito? L’esperienza che Paul aveva delle donne lo portava a credere che alcune, e talvolta anche quelle che sembrano più nobili, non restano mai del tutto indifferenti dinanzi al potere dei soldi, soprattutto se si tratta di una cifra cospicua. Christine si era sempre mostrata disinteressata verso il denaro, è vero, ma di fronte a poche decine di euro, Paul credeva, non occorre fare grande sforzo per ostentare distacco. Quando le somme sono grandi, invece, gli ideali vacillano.
    Paul ordinò il caffè. Guardò attraverso le ampie vetrate della sala da pranzo, osservò il volo di un solitario gabbiano, ritornò quindi dentro i suoi pensieri. Gli pesavano. Nel desiderio di liberarsene, e per passare quindi dalle idee all’azione, si alzò di scatto, corse via dall’hotel diretto in banca.
    Poi, verso le tre del pomeriggio s’incamminò verso la dimora di Christine.
    Dopo aver percorso la strada asfaltata che costeggiava la spiaggia, Paul si avventurò in un ambiente selvaggio di dune e canneti. Le sue scarpe affondavano nella sabbia ancora umida dopo il grande temporale della scorsa notte. Paul calpestava bianche conchiglie e alghe depositate sulla spiaggia dalle onde. Presso un boschetto di cespugli un cormorano teneva le ali aperte come per asciugarle al sole, incurante di uno scoiattolo che cercava cibo tra sassi ed erbe.
    Paul scorse infine l'accampamento dei nomadi seminascosto dietro folti canneti. Notò un maestoso ficus e lì vicino un capanno di legno. La porta era accostata. Bussò ma non udì risposta. Entrò e si stupì al miagolare improvviso di alcuni gatti. Prima che lui arrivasse se n’erano stati accucciati vicino alla stufa di ghisa e adesso fuggivano via spaventati. Accanto ad un piccolo letto di legno coperto da un piumino v’erano grossolane mensole colme di vari oggetti colorati: conchiglie, rametti, sassi, fiori secchi, e altro. E poi c’era, nel bel mezzo dell’angusto ambiente, un tavolo rudimentale su cui era posta bene in evidenza una bibbia. Accanto ad essa, dopo averlo tratto dalle ampie tasche laterali del cappotto, Paul posò un mazzo di banconote di grosso taglio. Uno sgabello era posto accanto al tavolo, si sedette e attese.

    - Sei già arrivato?
    Paul si voltò al suono della voce di Christine. Con lei rientrarono miagolanti i gatti nel capanno.
    - Ciao, sono tuoi? - fu tutto ciò che egli riuscì a dire.
    - No, siamo solo amici. Amano stare al calore della stufa, guarda, te li presento.
    I gatti si affollavano attorno a Christine che li carezzava. Le sue mani adesso apparvero a Paul bellissime. Erano abbronzate, con le unghie ben curate. Le dita lunghe e forti si muovevano con sensuale agilità sul pelo dei gatti, che sembravano apprezzare, inarcando la schiena e rizzando la coda.
    - Questo è Pietro, e questo è Andrea, suo fratello, e questo è Giacomo, figlio di Zebedeo, che qui non c'è, e quest'altro è anche Giacomo, ma è figlio di Alfeo; e poi c'è Giovanni, suo fratello, il mio preferito; vieni Giovanni, quanto sei bello! e questo è Filippo, poi ci sono Bartolomeo, Tommaso, Matteo, Taddeo, Simone e... vieni Giuda, traditore! sì, questo è Giuda.
    - Che nomi strani per dei gatti! E come fai a ricordarli tutti?
    - Non è difficile, - disse Christine calma. Poi batté le mani e i gatti saltarono sul tavolo facendo a gara per sistemarsi accanto alla bibbia.
    - Sono meravigliosi, gli unici che mi comprendono, - disse Christine.
    Paul la guardò senza capire.
    - Ti preparo una bevanda calda, - lei disse. Pose indi un pentolino colmo d’acqua sulla stufa, ne aprì lo sportellino e v’introdusse dei bastoncini di legno. Poi si sedette sul tappeto e invitò Paul a fare lo stesso.
    - Non vorresti vivere in una casa, Christine? – disse Paul.
    - Non saprei... per adesso questa è la mia casa. Ma tu piuttosto, Paul, non hai qualcosa da dirmi?
    - Sì.
    Adesso a Paul mancavano le parole. Aveva un sentimento forte, ma non sapeva esprimerlo.
    Restarono in silenzio per alcuni istanti. Paul osservò i lineamenti del suo volto, poi la guardò negli occhi. Lei ricambiò lo sguardo, e lui subito abbassò il suo; gli occhi di Christine erano penetranti, magnetici, e Paul non li reggeva.
    L'acqua nel pentolino cominciava a bollire e Christine si alzò a preparare il tè. Pose quindi le fumanti tazze per terra.
    - Chi sei tu? - le chiese Paul, - non sei proprio una zingara.
    - Io sono, questo basta.
    Paul notò il sorriso ammaliante di Christine, sentì la tranquillità che lei irradiava, si fece coraggio e cominciò a esprimersi.
    - Christine, sei una donna eccezionale oltre che bella, un fiore fascinoso, e allora, lo sai, sono pazzo di te.
    Si sentì un miagolio provenire da sopra il tavolo.
    - Posso parlare liberamente? - chiese Paul.
    - Sì, non prestare attenzione a Giovanni, dimmi.
    - Christine, per te sono disposto a tutto.
    - Tutto?  Che vuol dire “tutto”?
    - Ti darei tutto, tutto quello che ho.
     Si sentì un altro miagolio proveniente da sopra il tavolo.  
    - Che hanno oggi i miei gattini? – sospirò Christine.
    - Giovanni? - chiese Paul.
    - No, è Giuda. Adesso si fa sentire anche lui, sembra eccitato.
    Christine volse gli occhi verso il tavolo e notò che Giuda stava annusando le banconote di Paul. Ci fu un silenzio imbarazzante. Christine guardò Paul negli occhi e si alzò da terra, raggiunse il tavolo, prese i soldi in mano, li soppesò in silenzio.
    - Tutto qui? – disse, con un tono di voce che Paul non seppe decifrare, ma ne rimase sconcertato. Avrebbe giurato che alla vista del denaro, di quella cospicua somma, Christine avrebbe mostrato gioia, se non gratitudine, o avrebbe fatto finta di non notarlo, tacitamente accettandolo. Invece continuava a fissare Paul negli occhi. La situazione diveniva pesante e penosa per lui.
    - Vieni a stare con me, - le disse dolcemente - non chiedere più l'elemosina, la mia casa sarà la tua, tutte le cose che possiedo saranno tue, i miei gioielli, le mie auto, il mio panfilo, il mio giardino con piscina coperta, e anche i miei soldi, e sono tanti.
    - Tutto qui? - ripeté Christine sdegnosamente, mentre riponeva i soldi sul tavolo. La sua gelida calma era paurosa. Poi gli voltò le spalle e si mise a ordinare gli oggetti posti nelle mensole. Adesso agiva come se lui fosse assente, toccava e ammirava alcune luccicanti conchiglie, le contava e le soppesava, le disponeva in bell’ordine.
    Paul arrossì, ora tristemente consapevole di aver sbagliato approccio. Pensò che lei, in fondo in fondo, forse, non disprezzasse i soldi, ma non era certo quello il modo di offrirglieli, e quindi s’era fatta seria, forse solo per darsi un contegno.
    Christine si voltò e con voce profonda e limpida incalzò:
    - Piscina coperta, gioielli, soldi, sono veramente tutto quello che puoi offrirmi, tutto qui?
    Le ultime due parole di Christine, quel "tutto qui" reiterato e ben scandito sbilanciarono Paul estremamente.
    - Sì, ti darò tutto, - disse, - ti amo.
    Christine prese da terra un pezzo di legno, lo batté violentemente contro la stufa rompendolo in più parti che raccolse e gettò nel fuoco scoppiettante.
    - Se hai del denaro dallo a uno dal quale non lo riavrai! Dal quale non riceverai nulla in cambio! - gridò, - dallo a chi non ti mostrerà riconoscenza, - disse con voce rabbiosa che gravemente colpì Paul.
    Dopo un lungo tempo di tensione emotiva e di desiderio non corrisposto, adesso Paul si sentiva il cuore infranto. Si sentì vuoto con una sensazione di freddo in corpo e nell’anima, come il visitatore di un desolato paesaggio invernale. Cominciò a sudare, ebbe un tremito per tutto il corpo. Passarono alcuni secondi che gli sembrarono un'eternità; rivolse lo sguardo per terra e poi attorno a sé. Christine appariva fredda, distaccata, lontana, e tale lontananza gli parve densa, si sentì in essa sprofondare come pietra che s’inabissa in mare.
    Il silenzio tra di loro perdurò per alcuni lunghissimi secondi. Il tempo assumeva una dimensione strana, diversa, irreale, o reale per lui in un modo nuovo, incomprensibile. E dentro questo tempo, un indicibile nuovo sentimento cominciò pian piano ad assalirlo. Era una sensazione del tutto insolita, una strana illuminazione. Rimase fermo, piegato sul tappeto. Non si raccapezzava, non si riconosceva. Scoppiò a ridere all’improvviso, e nello stesso tempo rimase sorpreso di tale repentino moto delle sue viscere. Rideva di se stesso. Tutto ciò che era stato, la sua persona, l’idea che aveva avuto di sé, tutto quello che aveva portato per anni dentro di sé, nella sua mente e nel suo cuore, che si era tirato dietro fino all'interno del capanno di Christine, adesso gli appariva totalmente risibile. Non era mai stato se stesso, non era vissuto liberamente ma seguendo i valori del suo tempo e del suo ambiente, valori che adesso, all’improvviso, perdevano gradiente e forza, cadevano e si distaccavano da lui come una vecchia pelle. Si sentì come un condannato a morte che negli ultimi istanti della sua vita ne comprende finalmente il significato, e nello stesso tempo prende coscienza del tempo perso correndo dietro cose prima credute di grande valore e che adesso, dinanzi alla morte, gli appaiono vane.
    Incontrò di nuovo lo sguardo di Christine. Mostrando in volto nessuna traccia del precedente scatto di rabbia, e non più fredda e distaccata, lei era adesso sorridente, e appariva più bella che mai. Se ne stava silenziosa, bevendo il tè. Un raggio di luce dorata la colpiva in pieno viso. Lo spazio dentro il capanno, che prima gli era parso angusto, sembrava ora espandersi, e Paul si guardò intorno come se si fosse risvegliato da un pesante e lungo sonno. Si sentì leggero, liberato, felice di guardarla con intensità, e tuttavia era adesso sciolto dal tormento dell’amore, o dal sentimento che aveva creduto essere tale. L'amore... quanti miliardi di parole sono state usate per descriverlo! Quanto poco si è fatto per comprenderlo e realizzarlo! L’amore, che avrebbe dovuto spingerlo in alto, o farlo discendere in profondità, era stato per lui un tormento. E adesso, invece, c'era un silenzio soave e leggero entro cui Paul sentiva accesa e forte un nuova vitalità del suo essere; così intensa e allo stesso tempo così dolce non l'aveva mai provata prima.
    Christine continuava a mostrarsi sorridente. La sua felicità si propagava tutt'intorno, colpiva Paul nell’anima. La guardò attentamente e la vide luminosa. Vide, e non sembrò esserne sorpreso, un alone di luce bianca avvolgerle il capo. Fu una percezione momentanea. Poi Christine tornò ad apparirgli nella normale luce del meriggio.  
    - Ti senti bene? - gli chiese dolcemente.
    - Sì. Perdonami, ero pazzo se credevo di poter comprare il tuo amore.
    - Certo, dovevi sapere che ti ho sempre amato, nonostante le tue ricchezze, - Christine gli sussurrò.
    Paul la guardò negli occhi. Adesso reggeva bene il suo sguardo. Continuarono insieme a sorseggiare il tè, in pregnante silenzio, interrotto a tratti dal miagolio di Giovanni. Giuda continuava ad annusare le banconote sul tavolo abbandonate.

Christine e Mario a Maregrosso

    Christine e Mario, recatisi al municipio di Bulla, furono accolti dal sindaco in persona, che si prodigava personalmente a favore dei poveri e dei diseredati, occorre dirlo, e gli presentarono la domanda per l’assegnazione di una delle nuove case costruite vicino alla spiaggia di Maregrosso.
    Ottenuto l’alloggio, Mario, che aveva il pallino dell'autosufficienza, si mise subito a recintare e zappare un quadrato di terra. Poi si diede tempo per riflettere; fece una lista di tutti gli oggetti, i mobili e le comodità che si trovavano nell'alloggio assegnatoli e, infine, con il consiglio e l'approvazione di Christine, si liberò di tutto ciò che non riteneva necessario. "Meno cose si hanno e a meno cose si pensa" questo era il suo motto, quello di una mente che voleva quindi essere priva di pensieri inutili. "L’onestà non ha bisogno di ornamenti, e la semplicità è di per sé un gran lusso che pochi si possono permettere", continuava a ripetere mentre buttava sulla spiaggia un televisore.
    La spiaggia di Maregrosso era stata, un tempo, un luogo denso di rifiuti: vi si trovavano batterie, carcasse d'auto, vecchi frigoriferi, lavastoviglie, calcinacci, materiali vari imperscrutabili tra cui elementi organici, e così via. Piena com'era di spazzatura, era apparsa oscena ai nuovi amministratori comunali, che la fecero ripulire. E tuttavia, essi forse commisero un errore. Infatti, togliendo la spazzatura hanno anche eliminato una certa poesia del luogo. Mario consapevole di questo, gettò sulla spiaggia il televisore. La pioggia, il sole, il tempo, l'avrebbero rovinato e reso più fruibile da uno sguardo poetico. Intanto, però, se ne stava lì, fermo, vicino al mare. Si mise a guardarlo, vide le azzurre onde marine riflesse nello schermo: il miglior programma televisivo mai visto da occhio umano e gustato da mente sana. Poi tornò a casa.
    - Il sindaco ci ha donato tante di queste lattine, - disse Christine, - cosa conterranno?
    - Fammi vedere, - rispose Mario, - si tratta di un liquido che chiamano aranciata, composto di acqua, zucchero, anidride carbonica, essenza chimica, conservante, colorante, e il due per cento di vera polpa d'arancia.
    - Pensavo che il sindaco ci volesse bene, ci ha accolto con tanta grazia, e invece ci vuole ammazzare? Io non berrò mai questi intrugli.
    - Hai ragione, e pensa a quanto lavoro per estrarre l'acciaio, trasformarlo in lattine, chiuderci dentro uno strano liquido.
   - Quanto lavoro e spreco di energia! Mentre uno potrebbe semplicemente spremersi  un'arancia. Perché si producono queste cose, Mario?
    - L'industria ha la sua logica, è importante che si produca, sempre, qualsiasi oggetto, anche se è uno spreco inutile.
    - E i gage accettano questa filosofia? - ribatté Christine.
    - Non ci pensano nemmeno, bevono bibite sintetiche, non conoscono le cose genuine.
    - Non pensano?
    - Pensano, sì, e anche molto bene, ma solo le cose che fanno loro comodo, secondo i loro paradigmi e secondo come la televisione insegna loro a pensare. E quindi consumano di tutto, e consumano il mondo. Ad ogni modo, che facciamo con questi condizionatori d'aria? - chiese Mario.
    - Niente, smantellali, non ci servono, non viviamo a New York in un grattacielo di vetro, freddo d'inverno e caldo d'estate, - rispose Christine, - e poi io non soffro il caldo, anzi, mi piace, lo sopporto bene. D'altra parte siamo stati per millenni senza condizionatori d'aria e adesso... questi aggeggi consumano, causano l'effetto serra.
    - Vero, se tutte le famiglie del pianeta avessero un condizionatore d'aria, la temperatura del pianeta aumenterebbe ancora di più.    
    - Per fortuna molti non se li possono permettere.
    - Sono i poveri. I poveri salvano il pianeta.
     Si sentì bussare alla porta.
    - Chi sarà? Chiese Mario.
    - Forse è Paul.
    - Ancora lui? Ti perseguita, che incantesimo gli hai fatto?
    - Niente.
    - E no, niente no, l'hai stregato.
    - Se l'ho fatto, non me ne sono neanche accorta.
    - Appunto, non sei consapevole dei tuoi poteri; l'hai stregato col tuo sorriso magnetico e ti sta sempre alle calcagna. Ha lasciato Londra, è venuto a vivere con noi in Sicilia e ti segue ovunque, e prende note, ma cosa scrive? Fa lo scrittore adesso?
    - Non so, annota in un taccuino tutto quello che dico, ma non posso allontanarlo, povero Paul, è solo, proprio solo, e poi, lo sai, ha donato tutti i suoi beni ai poveri, ai nostri fratelli, ha lasciato tutto per stare con noi.
    - Con te, direi.
    - Va bene, con me, ma non mi dà fastidio, è come un figlio.
    - Un figlio di cinquanta anni per una madre di trenta, bel rapporto di parentela!
    - Certi uomini hanno sempre bisogno di una mamma, anche a cento anni.
    - Certo, certo, e tu ti sei messa a fare la gran madre di tutti, anche di un pazzo gage.
    - Che male fa?
    - Forse niente di male, finché si limita solo a scrivere.


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CAPITOLO SECONDO

IL TACCUINO DI PAUL
                       
Le origini

    Prima del tempo c'era la consapevolezza e la consapevolezza era nel cuore della Madre, e la consapevolezza era la Madre.
    La consapevolezza era la luce degli uomini; e la luce risplendeva nelle tenebre e le tenebre non l'avevano ancora sopraffatta.
    Si ottenebrò poi il firmamento, gli uomini oscurarono le stelle con luci artificiali. Cominciarono a fare guerre, lottare, depredare, ingannare; si chiusero i loro occhi e cessarono di percepire se stessi, il prossimo e la natura. Morì la consapevolezza.
    Ma la Madre, vedendo tutto ciò, ebbe di loro compassione.
    Venne quindi una donna mandata dalla Madre: il suo nome era Sofia. Ella venne come testimone della luce.
    E dopo Sofia venne la luce, che illumina ogni uomo che vive saggiamente e ama.
    La luce cominciò a risplendere in una donna di umile origine, in Christine; eppure il mondo non la riconobbe. Venne tra la sua gente ma i suoi non l'hanno accolta.
    E la consapevolezza si è fatta donna ed è venuta ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella di Christine, di una figlia della Madre, piena di armonia e di compassione.
    Da Christine noi riceviamo grazia su grazia, e la luce dell’agire consapevole è venuta per mezzo di lei. In quanto alla Madre, è visibile, ma molti sono ciechi.

Nascita di Sofia

    Al tempo di Euro, re d'Europa, viveva un uomo, chiamato Kevala, tutto solo in una capanna sulle rive del Danubio, non lontano dal villaggio zigano di Calaràz. Era vissuto sempre lì, nella natura, e adesso, ormai avanti negli anni, si rammaricava per non aver avuto figli. Ora avvenne che, mentre vagava sulle rive del fiume assorto in serena contemplazione, gli capitò di scorgere, sospesa sulla superficie delle acque, una nuvola, che si aprì mostrando un angelo. Quando lo vide, Kevala si turbò e fu preso da timore, ma l'angelo lo rassicurò:
    - Non temere, - gli disse, - il tuo desiderio è stato esaudito: una nomade ti darà una figlia e tu la chiamerai Sofia. Sarà lieta e saggia, e vivrà con te e come te, mai mangiando animali assassinati, mai bevendo bibite inebrianti. Sarà piena dello Spirito sattvico fin dall'infanzia e camminerà tra la gente riconducendo molti alla Madre.
    - Com'è possibile che avvenga questo? - rispose Kevala, - Io sono vecchio e qui attorno non ho visto passare nessuno da tanto tempo.
    - Io sono stato mandato - l'angelo gli rispose, - per portarti questa buona notizia, la cui veridicità potrai tu stesso costatare.
    Poi l'angelo scomparve dentro la nuvola da cui era affiorato e Kevala restò sulla riva del fiume a meditare sulle parole udite.
    Nel frattempo Cateluta, una giovane nomade, stanca di un lungo camminare, si era rifugiata nel capanno di Kevala e qui giaceva addormentata e sognava. E l'angelo entrò nel suo sogno e le disse:
    - Rallegrati Cateluta, donna transeunte e priva di pensieri, la Madre è con te.
    A queste parole Cateluta fu nel sonno turbata e si mise a mormorare parole senza senso.
    - Non temere, Cateluta, - l'angelo le disse, - perché hai trovato grazia presso la Madre. Questa notte concepirai una figlia, la partorirai tra nove mesi e la chiamerai Sofia. Sarà grande e sarà testimone della luce.
    - Che vuoi dire esattamente? - chiese Cateluta, ma l'angelo scomparve.
    Quando Kevala tornò nel capanno, vi scorse la nomade dormiente. Non volendola destare vegliò il suo sonno, e poi si mise a giacere accanto a lei.
    Nove mesi dopo nacque una bimba e, ricordandosi del suo sogno, Cateluta volle chiamarla Sofia.
    Sofia crebbe bella, gioiosa e forte, e non ricevette alcuna istruzione formale; ascoltò gli insegnamenti dei sui genitori, ma anche del vento, del fiume, delle nuvole, degli alberi, dei cerbiatti, e di altri maestri che qui non c'è spazio per nominare. E avendo appreso molte cose, diventò infine saggia, e la sua fama si propagò ai quattro venti, e sopraggiunsero quindi in molti a trovarla. Le chiedevano consiglio, amavano stare in sua presenza, anche perché i disastrosi eventi di cui siamo a conoscenza hanno indotto molti a porsi le domande fondamentali che erano state neglette durante il periodo di splendore del capitalismo e della finanza.
    Sulle rive del fiume furono in tanti, quindi, ad arrivare. Alcuni di essi rimanevano qualche giorno o qualche ora, vedevano Sofia e ripartivano; altri si fermavano. Questi erano i ricercatori più seri e accaniti, che riflettevano su questioni di grande importanza. Si chiedevano se a causa del possesso di tanti beni, di giocattoli tecnologici, a causa della ricchezza dell'Occidente al tempo della fioritura del capitalismo, fossero divenuti uomini migliori. Il sentiero della felicità attraversava i luoghi della tecnica, del consumo e del possesso?
    I ricercatori genuini della verità ci sono sempre stati, è vero, ma adesso il loro numero cresceva. Tentando di fuggire via dal caos che ora regnava ovunque, e presi da una nuova interiore agitazione, accorrevano da Sofia nella speranza di ottenere da lei una risposta, di conoscere e conquistare tranquillità e gioia. Nella solitudine dei luoghi naturali e selvaggi ove Sofia viveva, i ricercatori divenivano coscienti della grande illusione che aveva sempre guidato la loro vita e le loro azioni, la grande illusione che essi avevano scambiato per realtà. Andavano da Sofia e lei li ascoltava silente, e in silenzio predicava, seduta all'ombra di una secolare quercia; sapeva bene, infatti, che qualsiasi verità detta in parole sarebbe stata percepita e interpretata, molto spesso distorta, dalla particolare conformazione psichica dell'ascoltatore.
    Sofia aveva superato ogni passione e ogni desiderio delle cose vane del mondo; viveva liberata dal fardello del proprio io, ed era una donna buona.
    I ricercatori andavano da lei e ricevevano i semi di saggezza diffusi dal suo silenzio.

Christine incontra Sofia

    Sin da ragazza Christine si chiedeva se esistesse un qualcosa che non fosse oggetto del mutamento. Con questa domanda in seno giunse sulle rive del fiume. Scorse Sofia assorta in contemplazione. Non osò parlare e rompere il silenzio che permeava l’atmosfera, e si sedette accanto alla saggia.
    Un vento leggero, rallegrato dal canto degli uccelli, mormorava tra le foglie degli alberi. Christine osservò il volto concentrato e felice di Sofia, e Sofia percepì la solitudine di un cuore che cerca la verità. Poi fu la stessa Sofia a parlare:
    - Benvenuta Christine. Tu appari nelle sembianze di una piccola donna ma la tua anima è grande. La tua luce, che tu ancora non conosci, proviene direttamente dalla più splendente stella del cielo.
     - Ciao, - fu tutto quello che Christine seppe dire.
    - Cosa cerchi? – incalzò Sofia.
    - Ho nel cuore una domanda intensa che non posso formulare in parole, ma che attende una chiara risposta. Tu potrai darmela, Sofia, io spero.
    - Ciò che tu cerchi è già vivo in te, non può essere chiuso nel recinto delle parole, ma resta qui e la risposta palese fiorirà.

L’iniziazione di Christine

    Sofia era vestita semplicemente; non indossava capi firmati e alla moda, eppure la sua bellezza era sfolgorante dinanzi alla gente. Non andava al supermercato in automobile ma si nutriva dei frutti dell’orto, di erbe e di miele selvatico.
    Allora veniva il momento in cui quelli che la seguivano chiedevano di essere iniziati ai misteri, e Sofia diceva loro:
    - Voi siete qui, consapevoli dei mali del mondo, della cupidigia e gli orrori di Euro, i perturbamenti climatici, la desertificazione, la mercificazione dei rapporti umani, e siete i benvenuti. Io v’introduco quindi al mistero della pace e vi mostro la saggezza che proviene dalla terra e dal cielo, da nostra Madre che è l’Uno; ma colei che viene dopo di me è più grande e vi darà il dono dello Spirito Sattvico.
    Allora Christine andò da lei per ricevere l’iniziazione, ma Sofia le disse:
    - Sono io che ho bisogno di ricevere la tua iniziazione e tu vieni da me?
    E Christine le rispose:
    - Compi la tua missione, che è giusta dinanzi a Dea.
    Allora Sofia acconsentì e la iniziò ai misteri, e nello stesso momento si schiarì il cielo e volarono innumerevoli passerotti che si misero a cinguettare festosamente. Ed ecco una voce giunse dalla foresta, dal fiume, dalla terra e dal cielo: “Questa è figlia mia, che io amo, come amo tutti voi, fratelli, figli miei”.

    Dopo aver a lungo soggiornato presso Sofia, Christine tornò nel suo villaggio e lì visse per alcuni anni facendosi amare da tutti per la dolcezza dei modi, la generosità del cuore e la saggezza del dire, crescendo in sapienza e grazia davanti alla Madre e agli uomini. Poi, lasciata la sua casa, si mise a vagare per il mondo mendicando.

Christine incontra l'uomo ricco

    Mentre Christine andava per le strade chiedendo l'elemosina, un tale, che guidava un grosso fuoristrada, si fermò e le domandò:
   - Bella zingara, io ti vedo sorridere felice, ma sei povera. E allora dimmi, sei drogata? O cos'altro ti rende lieta?
    Christine gli rispose:
   - Tu mi chiami zingara, ma io sono rom, cioè essere umano, e come tale ho la mia dignità. In quanto alla povertà, dimmi tu, uomo ricco, qual è la tua religione?
   - Sono cristiano.
   - E allora perché non ti fai povero seguendo l'esempio di nostro Signore?
   - Bella zing... voglio dire, bella rom, non è certo la tua povertà a renderti felice, dimmi piuttosto il vero motivo del tuo stato.
    - Perché lo chiedi? Cerchi anche tu la felicità?
    - Certo, tutti la cerchiamo, ed è difficile trovarla.
    - Uno cerca la felicità, e a volte la trova, o crede, e vuole che duri, ma la pace è più grande della felicità, cerca la pace prima di ogni cosa.
    Il ricco aggrottò le ciglia. Christine vide che era molto elegante; emanava un profumo sintetico, come quello di chi si lava troppo spesso. Sulla sua camicia era visibile un marchio; sotto il taschino della giacca era impresso un nome, com’era impresso e anche sui pantaloni, sulle scarpe e forse anche nel suo abbigliamento intimo.
    - Quali di questi nomi è il tuo? - chiese Christine.
    - Nessuno, questi sono i nomi di grandi stilisti.
    - Perché porti il loro nome addosso? Non ne hai uno tuo?
    - Certo, ma mi fa piacere indossare dei capi firmati.
    - La mia felicità non viene da fuori, - disse Christine, - o dalle cose che indosso, ma da dentro.
    - Sì, forse, ma qual è la sua causa? - obiettò il ricco.
    - Tu presumi che debba esserci una causa per la felicità che, invece, esiste di per sé.
    - Vuoi dire che sei felice per causa naturale?
    - Elimina la causa e togli gli ostacoli.
    - Spiegati meglio.
    - Quando le nuvole che coprono l'azzurro del cielo sono spinte via dal vento, tu scorgi l'infinito, ma è sempre stato lì.
     - E quali sono gli ostacoli che dovrei togliere per essere felice?
     - Il tuo cuore è fuori di te, nelle tue ricchezze, "perché dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore". Tu sei ricco, ma una cosa ti manca: vai, liberati di tutto, compreso il tuo orribile suv, anzi è meglio che lo rottami, affinché nessun altro possa usarlo e inquinare la terra, "vendi tutto quello che hai e dai il ricavato ai poveri e avrai un tesoro in cielo".
    - Queste sono belle parole, ma il mondo non funziona così. Sarebbe una vera follia dare i mie beni ai poveri e farmi povero io stesso. La povertà non è una cosa bella, mia cara, e neanche i poveri saprebbero cosa farsene di un tesoro in cielo.
    - Tu hai detto di essere cristiano, ebbene, io ti ripeto, segui il tuo maestro, "guarda gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono né raccolgono in granai; eppure il Padre vostro che è nei cieli li nutre. Osserva come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro".
    - Non bisogna prendere alla lettera tutte le parole del Vangelo, mia poverella, i tempi sono cambiati; è vero che i gigli non lavorano e non pensano al domani, ma non puoi dirlo a un povero; ha bisogno di tante cose!
    - Tu sei ricco e non pensi ai poveri, la tua ricchezza offende la loro povertà.
    - Io mi sono dato da fare, mia bella, i miei soldi non mi sono piovuti dal cielo, ho lavorato. Ero anch'io povero, ho cominciato da niente, e tutto quello che posseggo non mi è stato regalato.
    - E sei soddisfatto?
    - Non mi piacerebbe ritornare povero.
    - Adesso che possiedi tante cose fuori di te puoi diventare consapevole della tua interiorità. Liberati dall’inutile peso delle tue ricchezze, e anche da questa tua protesi locomotoria, il tuo suv, e liberati anche dal tempo, dai pensieri ripetitivi, da qualsiasi desiderio di cose inutili, soprattutto dal desiderio di essere qualcuno, di essere ammirato per quello che possiedi.
    - Non possiamo liberarci dal tempo, né dai nostri desideri, è impossibile bella zing… bella donna. Forse non desideri un'automobile come la mia ma avrai certo altre aspirazioni, no?
    - Occorre soddisfare i bisogni fondamentali ma possiamo vivere senza i desideri indotti. Eliminali e diventa consapevole. I desideri creano il tempo e se li elimini ti troverai nella pienezza del presente.
    All'udire queste parole il ricco si fece scuro in volto.
    - Sei felice perché sei pazza, avevo bene intuito, sei una zingara pazza e un po' filosofa, - disse con stizza e mise in moto il suo fuoristrada.
    Christine rimase sola e riprese a mendicare.
     È difficile possa essere lieto, - pensò – chi è posseduto da mille cose, da mille desideri, chi insegue tanti beni e corre dietro tante cose come un bimbo dietro i cavallini della giostra. Senza dubbio “è più facile per una fune passare attraverso la cruna di un ago che per un uomo ricco entrare nel regno dei cieli” con il suo suv.

Benedizione di un albero

    Or avvenne che, in un tardo pomeriggio, mentre il sole terminava il suo viaggio e andava a tuffarsi in un mare infinito e tranquillo, Christine e alcuni dei suoi amici mendicanti, rientravano stanchi e affamati nel loro accampamento. E scorgendo un fico crescere rigoglioso al bordo della strada, vi si avvicinarono speranzosi, ma videro che non portava frutto e se ne dolsero. Fu così, quindi, che un nomade, il quale più degli altri non riusciva a contenere la fame, disse a Christine:
    - Mia cara, tu ben vedi che quest'albero non porta frutto, mentre noi siamo affamati, e allora tagliamolo e facciamone legna da ardere.
    Christine aggrottò le ciglia e così rispose:
    - Stolto, non sai tu che non è questa la stagione dei fichi? E, d'altra parte, non abbiamo il diritto di tagliare quest’albero. Noi non siamo i padroni del mondo né da esso distaccati, e se roviniamo la natura roviniamo noi stessi. Gli alberi sono i nostri fratelli, figli della nostra stessa Madre che tutto genera e a tutto provvede.
    E quindi, rivolgendosi all'albero disse:
    - Albero fratello, tu ancora non porti frutto ma ci dai ombra, ossigeno, e sei bello alla vista, sei parte di un tutto che noi riconosciamo e rispettiamo, sii tu benedetto.
    Subito dopo, le foglie dell'albero si mossero mettendo in mostra fichi grandi e maturi. Christine li colse e li offrì ai suoi amici. E vedendo ciò essi rimasero stupiti e dissero:
    - Come mai l'albero di fichi ha portato frutto in un istante?
    Rispose loro Christine:
    - In verità io vi dico che se avrete fede nella Madre, se comprenderete che anche gli alberi sono figli suoi, come gli animali, le montagne, e tutto ciò che vive sotto il sole, allora la Madre si prenderà cura di voi e vi nutrirà. Perché tutto ciò che chiederete con fede alla Madre, lei ve lo concederà. E se chiedete che gli alberi, ed anche le montagne, restino lì dove sono, non profanati dalle seghe e dalle ruspe, sarete esauditi.

Christine e l'uomo triste dagli occhi velati

    Mentre mendicava tutta gaia, un uomo triste, perché aveva gli occhi coperti da un velo, le diede l'elemosina e le disse:
    - Tu beata zingara, vivi alla giornata immemore del passato e ignorante del tuo futuro, mentre io sono triste e la mia tristezza mi copre come un manto di neve la terra in inverno, e non so come liberarmene.
    - Se provi gioia, vuoi trattenerla, se provi tristezza, vuoi cacciarla via dal tuo cuore, e in ciò spesso inutilmente ti affanni e t’inganni, fratello; comprendi invece la causa del tuo cattivo umore e liberatene; e comprendi che i nove stati psicologici non sono permanenti, - rispose Christine.
    - Quali sono i nove stati di cui parli?
    - Sono la tristezza, l'allegria, il desiderio, l'odio o violenza, la paura, il disgusto, lo stupore, la depressione o rinuncia, e l'eccitazione o energia. Questi stati sono come le stagioni, che durano il tempo opportuno e poi passano, e a ogni stagione segue l'altra. Tu senti questi stati ma non sei ciò che senti. Realizza chi sei.
    - Parli bene per essere una zingara, - rispose l'uomo triste, - ma non saprei proprio come realizzare chi sono.
    - Osserva, semplicemente osserva i tuoi transeunti stati interiori, e quindi guarda in profondità, dentro te stesso, e in te scorgerai un seme, che potrebbe divenire un frutto di gioia.
    - Io guardo spesso dentro di me, - rispose l'uomo, - e non scorgo che pensieri e dolori, ma il seme della gioia di cui parli non vedo. Sei sicura di riferirti ad una cosa reale?
    - Scruta il fondo del tuo cuore, ove si nasconde il più piccolo dei semi, che contiene tutto l'universo. Quando lo vedrai, le cose in superficie non ti toccheranno, neanche la tristezza.
    - La mia tristezza non è in superficie, ma è un dolore profondo, - disse l'uomo.
    - Il dolore vero tocca l’uomo e lo piega, egli versa lacrime amare e si rivolge alla Madre che lo consola, ma la tristezza dell'ego non può essere consolata, - disse Christine.
    L'uomo triste non comprese e restò muto. Christine n'ebbe compassione.
    - Se dentro non vedi il seme, - lei continuò, - allora volgi la tua attenzione al di fuori, guarda programmi d’evasione alla tivù, oppure vai al centro commerciale, visita i negozi e compra mille cose, e la tua tristezza sarà temporaneamente alleviata.
    - Farò come tu suggerisci, perché adesso usi un linguaggio comprensibile, - disse l'uomo triste, e s'incamminò verso il centro commerciale.
    Ma un nomade chiese a Christine:
    - Tu predichi la povertà e poi mandi l'uomo triste al centro commerciale?
    - Anche se venissero gli angeli del cielo e mostrassero la verità, gli uomini non la vedrebbero, perché un velo copre i loro occhi. Gli uomini tecnologici non possono che seguire il loro destino, vagare per i centri commerciali, spendere e acquisire, acquisire e consumare. Poi, quando tutto sarà consumato e la terra che li nutre sarà divenuta sterile, allora i loro occhi si apriranno e vedranno, - disse Christine.
    - Cosa? - chiese il nomade.
    - Essi vedranno, - Christine rispose, - e allora sarà il pianto e lo stridore dei denti.

Christine e i nomadi

    Christine percorreva le vie e la sua fama si diffondeva, e si rivolgevano a lei molti che erano tristi, posseduti da pensieri ricorrenti e inutili, e lei rallegrava i loro cuori e li guariva con un sorriso. Anche folti gruppi di nomadi cominciarono a seguirla unendosi a lei nella questua.
    Fu così che, mentre passeggiava lungo la spiaggia di Maregrosso, vedendo tanti nomadi intorno a sé, Christine salì su una carcassa di automobile, si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
    - Mie care sorelle, miei cari fratelli, “i lupi hanno una tana e gli uccelli hanno un nido”, ma noi poveri transeunti non abbiamo una casa. Anche i nostri padri e le nostre madri erano erranti, come Latona, nostra antica progenitrice. Latona, pur essendo incinta, ovunque andava era cacciata via dai gage e non trovava un luogo ove partorire, ed errava senza mai aver riposo. Infine qui, nella spiaggia di Maregrosso, che è sempre stata abbandonata da tutti e ridotta a discarica di spazzatura, lei fu accolta dai cani e dai lupi. Per sfuggire alla persecuzione dei gage, Latona assunse la forma di una lupa e partorì. Noi siamo la sua discendenza, siamo poveri ma non siamo miseri, perché abbiamo tutto secondo i nostri veri bisogni. Siamo poveri ma non siamo schiavi di tante cose inutili e dannose, non ci dislochiamo in inutili oggetti esterni e, liberi dai desideri indotti, siamo ricchi, ricchi di noi stessi e della nostra pace. Noi siamo ricchi, siamo principi e imperatori. "Se guardate le persone più ricche della Terra, piene di desideri, non vedrete altro che mendicanti, perché il desiderio crea il mendicante e, invece, può succedere di incontrare davvero un mendicante, e vedere un imperatore".
    Noi siamo ricchi e beati, perché siamo anche poveri di tante parole dotte, e anche di tante parole politiche, quelle che sono strumento di sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Noi siamo ricchi e beati perché possediamo e godiamo pienamente tutto ciò che abbiamo: la nostra vita qui e adesso. Quest'attimo fuggente, in questa spiaggia di Maregrosso, è tutto il nostro tesoro, che non possiamo accumulare, perché tutte le cose vere e vive non sono accumulate né possedute, fluiscono come il vento.
    Transeunti, voi siete il sale del mondo. Non perdete il vostro sapore. Poveri, voi siete la luce, ma il mondo distrugge sé stesso attraverso la follia del consumo. "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli,"  ed il regno dei cieli è qui, adesso, nel nostro cuore.
    Se mi amate non vi conformate quindi al mondo; se ascoltate la mia voce cessate di lottare tra di voi come fanno i gage. Essi erano infelici prima della presente era tecnologica e lo sono anche adesso. Prima uccidevano con le clave e adesso uccidono con le bombe intelligenti. Ma voi amici miei, vivete in pace, e nel vostro tempo libero contemplate e gioite.

Il secondo incontro con l'uomo ricco

    Ma mentre così parlava si avvicinò a lei un uomo povero e l'apostrofò con parole dure:
    - Pazza zingara, io venni da te un tempo e ti chiesi quale fosse il motivo della tua felicità. Tu mi dicesti di farmi povero, di disfarmi dei miei beni e dei miei soldi e così io feci; ma adesso non sono felice, anzi, nessuno mi considera. Se prima mi amavano e mi rispettavano ora mi trattano peggio di un cane rognoso. Mia moglie mi ha lasciato, i miei figli non mi riconoscono, i miei amici mi hanno abbandonato e si vergognano di me. Io adesso sono infelice a causa della mia povertà. Ho perso tutto e non ho guadagnato nulla in cambio. Non sono più niente e nessuno, ho perso la mia stessa identità.
    Christine lo ascoltò e n'ebbe compassione.
    - Tutto ciò che hai perso - gli disse, - non aveva valore. La gente non amava te ma i tuoi soldi, e tua moglie non aveva sposato te ma la tua condizione economica; i tuoi figli non ti riconoscono perché conoscono solo gli ideali correnti, e i tuoi amici erano falsi. Adesso vai in giro poveramente e ti trattano senza rispetto, perché nel regno di Euro solo i soldi e il potere lo impongono. Se vi fosse giustizia e solidarietà tu non avresti alcun problema, ma c'è poca umanità e molti uomini sono divenuti cani affamati, affamati di soldi, e non vedono altro. Tu allora lascia i cani dilaniarsi tra di loro; ricerca la compagnia di uomini veri e sinceri, e se non li trovi stai da solo. Meglio essere soli che essere circondati dalla falsità.
    - Che faccio da solo? Non ho più neanche i soldi per sopravvivere.
    - Potresti chiedere l'elemosina o cercare un qualsiasi lavoro; che facevi prima?
    - Ero un finanziere, muovevo i capitali.
    - Non capisco, che vuoi dire?
    - Stavo di fronte ad un computer e premevo dei tasti, compravo azioni e le rivendevo con profitto, speculavo, guadagnavo molto.
    - E da dove venivano i tuoi guadagni? Non producevi nulla?
    - No, i finanzieri non producono.
    - Ma le cose che tu compravi con i soldi così guadagnati dovevano pur essere prodotte da qualcuno, no?
    - Certo.
    - Tu quindi avevi acquistato e accumulato beni prodotti con il lavoro degli altri?
    - Questo è il mondo della finanza.
    - Vuoi dire che eri un ladro, quindi?
    - Tu sei una zingara e non sai come vanno queste cose, ma io so che seguendo il tuo consiglio, il tuo carisma, anzi, da te ipnotizzato, ho commesso la pazzia di donare tutto ai poveri.
    - Hai restituito loro ciò che non ti apparteneva.
    - Dato o restituito, il risultato è che non sono felice e non ho mezzi di sostentamento.
    - Oltre a rubare legalmente che sai fare? Sai costruire cose? Sai dipingere, sai scrivere, potare gli alberi, coltivare zucchine, sai lavorare a maglia, sai suonare uno strumento musicale? Se tu sapessi suonare la fisarmonica o il violino, potresti unirti a noi, suonare per le strade; qualcosa si guadagna, per comprare il pane.
    - Non so fare niente.
    - Potresti unirti a noi lo stesso.
    - Ma sarei felice? L'equazione povertà/felicità che tu predichi non mi pare abbia un gran senso. I poveri sono niente.
    - La povertà materiale non è virtù se priva di ricchezza interiore, di un significato, di un valore che ti viene da dentro.
   - Un valore immaginario.
    - Questa è una verità che non tutti possono comprendere. Alcuni la intuiscono e vivono sereni con poco; altri, invece, quelli che sono ipnotizzati dai valori correnti, cercano la felicità dell’io, percorrono una via che credono li condurrà al bene, ma quando avranno fatto tante cose, accumulato tante ricchezze e fama, diventeranno vecchi e comprenderanno, se resterà ancora luce nella loro anima, comprenderanno che ogni conquista dell’io, ogni sua gratificazione è cosa vana e tutto finisce, e allora apriranno gli occhi e si rivolgeranno alla nostra Madre misericordiosa e Lei darà loro serenità.
    - Mi rivolgerò a tua madre quando sarò vecchio, adesso voglio riacquistare la mia ricchezza e mi voglio divertire, addio zingara, - disse l’uomo beffardamente.
    - Ognuno ha i suoi tempi, e Dea concede grazia nel tempo opportuno, - disse Christine. Ma l’uomo era già corso via e non la sentì.

Christine visitata dal medico

    E no, non si può in questo mondo essere felici e spensierati. Gli invidiosi credevano che ci fosse qualcosa sotto, un male oscuro ereditato dagli avi; pensavano che la beatitudine di Christine fosse una malattia che doveva essere curata. I crudeli e ciechi gage l'avevano fatta visitare da uno psichiatra affinché ne riconoscesse la presunta anormalità. Questi era prevenuto contro i nomadi e non comprese dapprincipio perché Christine fosse felice, lieta e gentile con tutti, anche con lui, mentre egli la considerava poco più di un'animale. Ma gli animali non sono felici, soffrono non solo per le bastonate dei crudeli padroni, soffrono anche i loro stessi sentimenti, le voglie e le passioni della loro vita, e il medico non capiva perché Christine non dovesse soffrire allo stesso modo. Tuttavia anche gli animali egli aveva talvolta osservato come se beati, immemori, avvinti dal presente.
    - Povera zingara, - le disse, - che motivo hai per startene così beata?
    Ma Christine non rispose e continuava a sorridere. Che fosse tonta? Il medico psichiatra credeva che la natura talvolta fosse strana e che non c'era da preoccuparsi; pensava che la gioia fosse un'anomalia dell'anima, e disse tra sé e sé: “Questa povera zingara deve essere un po' anomala, ma in fin dei conti, che male fa? Anche gli asini sono così, soggetti alla stessa legge del destino. Alcuni li senti ragliare scontrosi e tristi, altri invece ragliano come se cantassero e si vede che sono felici. Che asini. Ma gli attacchi di felicità non durano. Tutto torna normale prima o dopo. Si lasci tranquilla Christine quand'è felice, si lasci la natura seguire il suo corso; è ancora una donna giovane, poi la vita la sanerà”.
    Ma sbagliava, per Christine non ci sarebbe stato rimedio.

Dov'è tua madre?

    Christine era assidua nel chiedere l'elemosina e nel portare la buona novella. Raccontava una storia nuova, più col suo essere che con le parole; e il suo essere si manifestava nel sorriso e nella gioia, nella pace che emanava. Ma non tutti la riconoscevano, e le dissero allora alcuni:
    - Tu prendi in giro la gente, il tuo sorriso non è vero.
    Christine rispose:
    - Il mio sorriso è espressione della mia intima gioia, che io conosco e so da dove viene. Voi invece non mi riconoscete. Mi vedete secondo i vostri pregiudizi, ma io non me ne curo, perché non sono sola, sono con la Madre che mi ha mandato.
    - Dov'è tua madre? - le dissero.
    - Voi non vedete me, e nello stesso tempo non conoscete né rispettate la Madre che mi sostiene. Se vedeste me vedreste anche la Madre.
    - Noi ben vediamo te, miserabile pezzente, ma la madre di cui parli non vediamo perché non esiste, è frutto della tua immaginazione.
    - Voi non vedete perché siete ciechi nei confronti dell’Uno. Non riuscite a guardare l’oro e le pietre con lo stesso sguardo. I vostri occhi guardano le sembianze molteplici ma la Madre che non conoscete è l’Uno da cui nascono le forme, e nella Madre esse ritornano. E a causa della vostra ignoranza l’Uno appare in molteplicità. Io vi rivelo la Madre e voi non la riconoscete, perché non conoscete la pace, la saggezza e la gioia che provengono da lei.
    Queste parole Christine pronunciò mentre mendicava all'ingresso di una grande banca di Euro, ma nessuno chiamò le forze dell'ordine per arrestarla, "perché non era venuta ancora la sua ora". Ma alcuni dicevano:
    - Chi è questa donna? Veste come una zingara ma parla con la sicurezza di una principessa.
    Altri dicevano:
    - Questa donna è senza dubbio una principessa.
    Altri invece dicevano:
    - Non si vedono alla televisione le principesse abitare nei palazzi reali? Questa poveretta abita invece nelle strade.
    E un ricco quindi disse:
    - Non vi lasciate ingannare da questa zingara. Lei non guarda la televisione e non conosce la legge di Euro. Tra gli zingari non v'è mai stata né vi sarà mai una principessa.

L'uomo che si pente di essere buono

    Uno tra i passanti che l'ascoltava espresse il desiderio di parlare con lei.
    - Io vidi la tua gioia, - le disse,- e la riconobbi, e desiderandola anch'io nel cuore, divenni buono, cercando di compiere i comandamenti della Madre, non più rubando, non più distruggendo le foreste o inquinando i fiumi, non più costruendo armi e facendo la guerra, non più usando violenza contro i deboli; ho anche smesso di passare giornate intere a fare acquisti, ma il risultato di tutto questo è che tutti mi calpestano. Non essendo più un profanatore dell'opera della Madre, adesso io stesso sono profanato e offeso. Tu appari felice, ma io, pur seguendo il tuo esempio, non lo sono. E allora desidero ridiventare cattivo come prima, perché questo mondo non è per i buoni e per i giusti, per i deboli, per gli umili e per poveri, ma è per i cattivi e i furbi, per i violenti e per gli irresponsabili, per gli incoscienti e gli orgogliosi. I cattivi prosperano ovunque, mentre i buoni sono vilipesi.
    - Non diventare cattivo figlio mio, - rispose Christine, - perché tu sei nato buono, come la maggioranza degli esseri umani, realizza quindi la tua intima natura e segui le vie della Madre.
    - Se la maggioranza degli uomini è nata buona, perché il mondo è malvagio?
    - Come pochi grammi di una sostanza tossica corrompono le limpide acque di un lago, così, a causa della cattiveria di pochi i molti si sono guastati.
    - Com'è possibile questo?
    - Per la mancanza di consapevolezza che caratterizza la nostra sofferente umanità. Gli uomini non riflettono e tendono meccanicamente a rispondere con le cattive azioni alle cattive azioni, mettendo in atto un terribile karma, o circolo vizioso che dir si voglia, che rende tutti infelici. Non rispondere all'offesa con l'offesa ma comprendi che chi ti ferisce è cieco e inconsapevole. Se un cieco ti calpestasse i piedi inveiresti contro di lui? Se egli non ti ha visto, perché è nato cieco, tu che hai gli occhi per vedere, scansalo. Lui è cieco e non vede dove va, ma se fossi tu a calpestargli i piedi la tua colpa sarebbe grande perché, pur avendo occhi per vedere ti comporteresti come se fossi cieco. Lascia agli incoscienti compiere azioni cattive, essi non sanno quello che fanno, tu invece riconosci di essere figlio di Dea Madre, perdona e compi il bene.
    Così parlò Christine, ma l'uomo si fece scuro in volto e se ne andò via triste, perché teneva nel cuore molto risentimento per coloro che l’avevano calpestato e offeso.

La profezia di Christine

    Venne un giorno in cui Christine ed i suoi discepoli stavano insieme a tavola condividendo la comunione fraterna. E chi le sedeva accanto le chiese:
    - Mia maestra, chi di noi sarà seduto alla tua destra nel regno di nostra Madre?
    Christine si rattristò e così rispose:
    - Stolto, quale diavolo ti ha suggerito questa domanda? Non vi ho sempre detto che chi vuole essere il primo deve mettersi a servire? In verità io vi dico, quindi, che il desiderio di primeggiare sui propri fratelli nasce da una debolezza interiore, da un ego che per esistere deve sentirsi primo e separato rispetto agli altri. Ma nell’amore della Madre non c’è l’ego, e tutti noi siamo una sola cosa in lei. E voi quindi guardatevi da chi vuole primeggiare. Anzi, in verità io vi dico che dopo di me molti verranno e diranno di essere i veri e unici miei seguaci, possessori, custodi e dispensatori delle verità che io vi ho rivelato, ma voi siate saggi e guardatevi da loro. E alcuni di costoro si riuniranno in concili e formuleranno le loro verità. Alcuni costruiranno grandi templi e vivranno in sontuose dimore. Altri ancora scriveranno trattati e catechismi, e formeranno riunioni gruppi e chiese, e ciascun gruppo dirà di possedere la verità secondo il mio insegnamento. Ed essi disputeranno intorno ad innumerevoli cose e lotteranno tra di loro per il potere sulle anime semplici. E allora voi, miei amati poverelli, siate attenti e non cadete in inganno, soprattutto non credete a chi vive in un modo che offende la vostra povertà, non credete a chi vi dice di possedere la verità, perché nessuno la possiede, ma è la verità che possiede gli uomini, e gli uomini da essi posseduti vivono quindi in pace e armonia. E se tentassero di convincervi direte che solo da una cosa i miei seguaci si riconoscono tra di loro, e solo “per una cosa essi sono riconosciuti: dall’amore che si portano l’un l’altro”. Perché se non vi amate tra di voi, mille dottrine e mille poteri ecclesiastici non potranno mai salvare la vostra anima. E l’amore sia quindi la vostra unica e vivificante verità, una verità per la quale gli uomini sono fratelli, una verità per la quale non ci sono né poveri né ricchi, e tutti mangiano alla stessa tavola, che nostra Madre apparecchia per tutti.

Christine incarcerata

    Poi infine, vedendola mendicare dinanzi all'ingresso dei templi di Euro, i finanzieri chiamarono i gendarmi per farla arrestare. Questi occorsero prontamente e dopo averla ammanettata la bastonarono e la gettarono in prigione, nella cella più oscura, ordinando al secondino di fare buona guardia. Egli la teneva d'occhio continuamente perché correva voce che i nomadi fossero abili nell'arte dell'evasione.
    Verso mezzanotte Christine vegliava e cantava una dolce preghiera alla Madre. D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione e le sue porte si aprirono. Tutti i prigionieri fuggirono ma Christine stette al suo posto, immersa nel canto alla Madre. Allora il secondino le chiese come mai non fosse fuggita insieme a tutti gli altri, ma lei non gli badò, tanto era felice di cantare. E il secondino le chiese:
    - "Che cosa devo fare per essere salvato?"
    - Credi nella Madre, amala, rispettala e onorala, rispetta e ama i suoi figli, non rubare, non inquinare la natura, non la depredare, ricicla, e sarai salvato tu e la tua famiglia.
    Poi venne un angelo della Madre e condusse fuori Christine e le disse:
    - Vai, continua a proclamare dinanzi al popolo la buona novella, afferma con parole, con atteggiamenti e con azioni che siamo tutti fratelli e figli della stessa Madre.
    Christine riprese a mendicare, ma poiché i gendarmi di Euro continuavano a cercarla e la volevano imprigionare, lei fuggì in un luogo aspro, pietroso e solitario, non ancora raggiunto dalla speculazione edilizia e dagli operatori del turismo.

Christine si nasconde in una grotta

    Nella valle solitaria scorreva il grande fiume.
    Christine si fermò, lo contemplò in silenzio. Il fiume scorreva vergine e lento, e chi lo contemplava poteva conoscere e sentire il segreto dell'esistenza. Christine l’osservò, risalì col pensiero alla sua origine, viaggiò verso la sua foce, ove esso si ricongiungeva all'infinito oceano. E poi si concentrò nella preghiera e, rivolgendosi alla Madre, disse:
    - Io ti sento e ti vedo, Madre mia, nella mia vita che è la tua, in ogni creatura e in ogni cosa, in ogni essere che tu generi e nutri. Ma pur realizzandoti pienamente continuo a desiderarti e pur conoscendoti cerco di conoscerti; “come le radici per le foglie, l'aria per gli uccelli, il fiume per il pesce, la vita per chi vive, così tu sei per me”.
    La Madre udì la preghiera di Christine e rispose:
    - Gli uomini si rivolgono verso l'esterno, ove si perdono, ma tu figlia mia, adesso per vedermi ritrai lo sguardo dentro di te e ascolta in te la mia voce.

    Una grotta era vicina al fiume, il suo ingresso nascosto da alti canneti. Christine entrò. Un'oscurità profonda l'avvolse; era il mistero all'interno del cuore della Madre, il buio che contiene tutti i colori del mondo. Christine si fermò a osservare e a sentire, ascoltò il silenzio, divenne una con esso. In questo stato di infinita unione con la Madre, Christine trascorse tre giorni e tre notti completamente dimentica del mondo esterno.
    La nostra natura reale è la natura stessa della Madre. La nostra natura reale è luminosa; si manifestò in Christine sotto forma di una luce fosforescente e bianca che adesso splendeva dentro la grotta, attraversava le pareti di pietra e riverberava all'esterno. Alcuni viandanti la videro e si stupirono, pensarono che la terra stessa si fosse illuminata di luce eterna e soave. Essi quindi, volendo scoprire il mistero, entrarono nella grotta. E qui scorsero un angelo della Madre, lucente come una stella. E l'angelo parlò così dicendo:
    - Siete qui in cerca del mistero, ma non a tutti è dato di conoscerlo, perché molti sono coloro che la Madre chiama, ma pochi sono preparati a riceverla. Se voi cercavate Christine, vostra sorella, sappiate che non è qui, perché è risorta. Andate per le strade del mondo e la incontrerete. Vedrete il suo volto nel volto di ogni umile, di ogni povero ed emarginato, nel volto di tutti coloro che sono disprezzati e abbandonati.

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CAPITOLO TERZO

I POTERI di ROMA

Il finanziere egemone
    In un grigio mattino di gennaio dell'anno 2049, indossando un abito grigio, una camicia bianca, scarpe nere e cravatta blu a palline bianche, nella sede romana della Banca Europea entrò Ponzio, manager di Euro e finanziere capo, soprannominato l'egemone.
    Più di qualsiasi cosa il finanziere amava l'odore dei soldi freschi di stampa, quelli che avevano un lungo cammino da percorrere: sarebbero entrati nelle case, sarebbero stati desiderati e toccati da molti, spesso accarezzati, e poi sciupati, sporcati. Ponzio portava sempre con sé un mazzetto di banconote di grosso taglio e le sniffava di tanto in tanto; veniva tonificato dal loro profumo, che leniva una sua certa cronica e inspiegabile angoscia.
    "Mio Euro, perché l'angoscia mi perseguita? Nessun medico ha saputo liberarmene, la notte non ho riposo", così sussurrava a sé stesso prima di sbottonarsi la giacca e introdurre la mano destra nella tasca interna: faceva riaffiorare il suo bel mazzetto di banconote, le palpava con cura, le portava al naso, ne gustava la fragranza, si rasserenava.
    Si accomodò dietro una grande scrivania sulla quale erano ordinatamente poste diverse cartelle. Le visionò fugacemente e un documento particolare attirò la sua attenzione. Lo esaminò con cura. Aggrottò la fronte, pigiò un bottone, entrò Plastica, la sua devota e avvenente segretaria. Il finanziere osservò l'elegante movimento del suo corpo; era una donna veramente ben fatta, bionda, alta, magra, elegante, mellifluamente ondeggiante su tacchi a spillo, dolcissima quando occorreva, e allo stesso tempo decisa, puntuale, efficiente nel lavoro.
    - Hai notizie della prigioniera del campo nomadi? - le chiese con voce stridula.
    - Sì, egemone, - rispose Plastica, - il sommo tribunale dei manager finanzieri europei l'ha già condannata ma la sentenza deve essere controfirmata. Lei è qui.
    - Falla entrare.
    Dalla stanza accanto due valletti condussero una donna di media statura, bruna, che dimostrava circa trent’anni. Indossava una gonna lunga fino alle caviglie, un maglione girocollo e una larga giacca grigia. Si inchinò con grazia e guardò Ponzio negli occhi. Il volto del finanziere appariva teso, la sua voce risuonava sgraziata.
    - Come ti chiami? - le chiese.
    - Christine.
    - Sei tu quella che va in giro predicando contro i ricchi e insultandoli?
    - Caro fratello, senti...
    Ma Plastica la interruppe.
    - Tu sai dove ti trovi e con chi stai parlando?
    Christine continuava a guardare Ponzio negli occhi e sorridere, ma Plastica la prese per un braccio e la scosse.
    - Come ti permetti, zingara, di dare del tu al finanziere? E perché lo guardi negli occhi? Vuoi firmare con le tue stesse mani la tua condanna? Rivolgiti a lui con rispetto e chiamandolo egemone, e tieni la testa bassa, puttanella, - disse Plastica, facendo ondeggiare in aria la mano destra, che quindi ricadde con forza sul volto di Christine. La quale incassò muta, sorrise e porse l'altra guancia.
    - Come ti chiami? - Ponzio ripeté.
    - Christine Rom.
    - Dove sei nata?
    - Sono nata a Calaraz, un villaggio in riva al Danubio, poi mi sono trasferita a Bulla.
    - I documenti che ti riguardano dicono che vivi accampata sulla spiaggia, non hai casa quindi?
    - Ne avevo una ma l’ho donata agli immigrati africani.
    - Non mi stupisco, sei una zingara nomade dopo tutto.
    Christine non rispose.
    - E quindi, zingara, tu vai in giro predicando contro il benessere, insultando i ricchi, dicendo che sono vani, che rubano ai poveri.
    - La gente che mi ascoltava mi ha frainteso, egemone.
    - Non dare la colpa ad altri, le tue stesse parole sono state registrate e bastano per farti condannare, zingara. Tu ci hai insultato. Tu puoi ben scegliere la povertà, nessuno ti obbliga a diventare ricca, ma devi tenere la lingua a posto, bastardina. Dopo tutto sei anche carina, perché devi metterti nei guai?
    - No, egemone io non insulto nessuno, è contro la mia stessa indole, mi creda,
    - Allora sono stati i tuoi seguaci, o apostoli che siano.
    - Io non ho apostoli.
    - Sappiamo che hai dei sostenitori.
    - Non ne ho, a parte un tale, un certo Paul che mi segue ovunque. Lui stesso era ricco, ricchissimo; si è rivolto a me mentre chiedevo l'elemosina e si è messo a parlare di sé, dei suoi problemi, e io l'ho ascoltato, l'ho solo ascoltato e non ho istigato nel suo cuore nessun risentimento contro nessuno.
    - Paul... si lo conosciamo, è schedato, ma non mi risulta che sia ricco.
    - Non lo è più, ha donato tutto ai poveri. Il danaro ha cessato di avere significato per lui. Ha fatto bene a diventare povero, e non ha mai parlato male dei ricchi, è un brav’uomo.
    - Che bella trovata! Un ricco che dà tutto ai poveri e segue una zingara!
    - Questa è la verità, potete controllare.
    - Sarà, ma tu allora cosa andavi predicando alla gente?
    - Io dicevo loro semplicemente che la vita è un incessante movimento; c'è la nascita, la crescita, la vecchiaia, la morte; e queste cose avvengono secondo il loro tempo, e tutto fa parte di questa legge, e anche i ricchi nascono e muoiono. Ho anche detto che tutti siamo esseri umani con uguale dignità, ricchi e poveri, che siamo tutti fratelli e la nostra condizione umana ci accomuna più di quanto ci separino le ricchezze.
    - Hai predicato solo sciocchezze, quindi. E il compost? Non hai detto che i soldi dei ricchi sono compost?                                          
    - Era solo una metafora. Io ho detto solo che verrà un tempo in cui gli uomini si ameranno tra di loro, e allora non vi saranno più né ricchi né poveri e i soldi potranno essere messi a marcire, insieme a tante cose morte, per fare un bel compost.
    - Sei furbetta. Hai studiato?
    - No, non bisogna andare a scuola per capire la verità.
    - La verità! Tu che ne sai? Cos'è la verità?
    - La verità è che nel tuo cuore v'è angoscia, tu controlli grandi capitali ma non sei soddisfatto, qualcosa ti manca.
    Il finanziere osservò il volto sereno di Christine. La sua voce lo colpiva prevalentemente come suono, come una dolce vibrazione che aveva uno strano effetto su di lui: lo rilassava, quasi l'incantava. Nel frattempo Plastica si agitava e osservava Christine con sguardo ostile. Il finanziere se ne avvide e la pregò di uscire dalla stanza.
    - Bella questa, e cosa mi manca, secondo te? - chiese quindi a Christine.
    - L'oro si trasforma in piombo nelle mani di chi non realizza e non conosce sé stesso. Tu conosci il mondo della finanza ma non ti fermi a contemplare il cuore del mondo, della gente, di te stesso, non conosci la tua solitudine, né la causa della tua angoscia. Non ti rapporti con gli esseri umani, che per te sono solo numeri, statistiche, opportunità per fare soldi. Non hai neanche il coraggio di guardare negli occhi una povera donna come me, e per non abbassare il tuo sguardo pretendi che sia io a farlo. Conosci solo i rapporti di potere e non riesci ad amare, e non ami neanche Plastica, la quale... neanche lei ti ama e ti lascerebbe se non fosse per i tuoi soldi, e tu t'illudi, credi che t'ami. Sei un ingenuo. Una bambola di gomma ti amerebbe di più. Ma adesso non hai più bisogno di lei per lenire la tua angoscia, adesso il tuo dolore cesserà, stai bene, sei rilassato, rilassati...
    L'egemone si chiese come mai permettesse a quella poveretta di parlargli così, come mai l'ascoltasse e perché le sue dure parole non lo turbassero, anzi, adesso diventava sempre più rilassato, si sentiva a suo agio.
    - Ti consiglio, egemone, - continuò Christine, - di fare una lunga vacanza. Recati in una città sconosciuta, confonditi tra la folla, prendi in affitto una cameretta in periferia e vai a fare la spesa nei mercati popolari. Vivi con la povera gente. Muoviti senza le tue auto fuori serie, senza le tue altre protesi tecnologiche.
    - Perché dovrei fare tutto ciò? - chiese il finanziere divertito.
    - Per incontrare il tuo cuore. Tu vivi in un mondo chiuso, ovattato, qui ci sono troppi schermi, troppi paraventi, tante falsità e presunzioni, tante abitudini mentali che ti nascondono a te stesso. Hai tutto, non hai più nulla da aggiungere alle tue ricchezze, e se qualcosa potesse ancora essere aggiunto non cambierebbe nulla. Hai tutto tranne te stesso.
    - Potrei venire a stare con te, accamparmi sulla spiaggia, - il finanziere disse, prorompendo in una sonora ma benevole risata.
    - Confessa, - continuò - tu non sei una zingara, sei una filosofa, o una psicologa. Come hai fatto a sapere che soffro di crisi d'angoscia, che Plastica è la mia amante?
    - Niente è più evidente di ciò, caro Ponzio, l’angoscia è scritta nel tuo volto, e Plastica è ovviamente il tipo di segretaria che va a letto con il suo capo.
    - Già, - disse il finanziere, per niente turbato dal tono familiare con cui Christine gli parlava, - e quindi non avresti niente contro i ricchi?
    - No, perché? Poveretti!
    - Non stavi preparando qualche sommossa contro di loro?
    - Assolutamente no.
    - Sei disposta a confermarlo dinanzi al tribunale della comunità dei finanzieri?
    - Certamente.
    - Giuralo.
    - Io non giuro, non ne ho bisogno, perché dico il vero.
    - E invece avresti proprio bisogno di giurare. Forse non ti rendi conto che ho il potere di liberarti o rispedirti in cella.
    - Tu non avresti alcun potere se non ti fosse dato per servire. E se tu cessassi di essere servo di Euro e divenissi un uomo, il tuo potere ti sarebbe tolto.
    - Adesso non esagerare zingarella, pensa piuttosto alla tua pelle. Sei anche accusata di non lavorare, cos'hai da dire in tua discolpa?
    - Cosa potrei mai dire?
    - Vai in giro mendicando, non ti vergogni?
    - Perché dovrei? Buddha era un mendicante e forse anche San Francesco. I miei antenati andavano in giro facendo lavori utili, riparando oggetti, pentole, ombrelli, ma adesso i gage buttano via gli utensili prima ancora che si guastino. Non ci resta altra scelta se non la mendicità.
    - Ma ti abbiamo offerto un lavoro, perché l’hai rifiutato?
    - Obiezione di coscienza. Non potevo accettare. Non avrei più avuto rispetto per me stessa.
    - Che dici? I nostri manager ti hanno trovato una sistemazione in una fabbrica di automobili, un lavoro onesto, pulito, rispettabile; che c'entra la tua coscienza?
    - Perché mi chiedi questo, egemone? Proprio tu, una persona colta. Non posso compiere un lavoro noioso, ripetitivo, non creativo, per costruire oggetti di lusso e inutili. E poi ci sono troppe fonti di inquinamento, troppe auto, le auto inquinano e anche per costruirle si inquina; monossido di carbonio, no? Non posso contribuire all'aggravamento dell'effetto serra.
    - Non si sa con certezza se i mutamenti climatici siano dovuti ai gas di scarico delle auto e delle industrie o ad altri fattori non umani.
    - Si sa, e anche se non si sapesse, se ne esistesse solo il dubbio, occorrerebbe agire di conseguenza. Se tu avessi il ragionevole dubbio, ma non la certezza, che al ristorante ti danno un cibo avvelenato, lo mangeresti?
    - Allora nessuno dovrebbe lavorare, tutti inquinano. Si inquina per vivere.
    - No, egemone, si inquina per vivere come viviamo noi, per affogare le nostre anime in un mare di spreco, di comodità, di oggetti inutili.
    - Allora sei anche un'ecologista, mia zingarella!
    - Amo la nostra terra e non farei nulla contro di lei. La terra è paziente verso di noi e le nostre pazzie, ma presto si ribellerà, il clima diverrà ancor più insopportabile.
    - Sciocchezze, tu pensi al pianeta e non al tuo interesse. L'accusa di non lavorare è grave. Sei in buona salute, e per vivere bisogna lavorare, è anche troppo facile vivere di carità.
    - La terra è generosa, ed io lavorerei; anche andare a raccogliere i frutti della terra è un lavoro; io li raccoglierei, lavorerei, ma...
    - Ma?
    - Avete chiuso tutto, avete privato i poveri dell’uso comune della terra, l'avete resa proprietà privata. E se io adesso andassi nei vostri campi, che sono vostri solo perché li avete chiusi, pensereste che sono una ladra.
    - Hai un modo originale e contorto di ragionare.
    - Non credo. Fino a pochi secoli fa c'erano le terre e i boschi comuni, i pascoli liberi. Allora non avevamo bisogno di soldi, di lavorare in fabbrica.
    - Non possiamo ritornare a essere nomadi raccoglitori, anche perché non ci sarebbero frutti selvatici sufficienti per tutti.
    - Adesso non più. Stiamo distruggendo il nostro pianeta.
    - Non esagerare, e comunque, non m’interessano questi discorsi apocalittici. Ti offro la possibilità di salvarti, accetta un lavoro di operaia, ed io non firmerò l'atto di condanna. Quanto poi riguarda le altre accuse che ti fanno, dirò al tribunale dei manager finanzieri che sei pazza, ti farò ricoverare per un breve periodo in una casa di cura. Vediamo, ti farò confinare a Fregene; è un bel posto, io ci vado spesso in vacanza.
    Il finanziere accese il computer e si accinse a scrivere il rapporto da inviare al sommo tribunale dei finanzieri. Christine restava in piedi, silente.
    - Allora, cosa decidi? Lavorerai? Diventerai una persona normale? Pensa a quante cose ti mancano, che potresti comprare con i soldi dello stipendio.
    - Non posso andare contro la mia coscienza, lavorare per inquinare la terra, agire contro mia madre. No.
    - Sei testarda, non capisci che sto cercando di aiutarti. Ma se non vuoi lavorare in fabbrica ci sarebbe qualche altra possibilità. Stanno scavando un tunnel attraverso le montagne, ti posso far lavorare come manovale, è un lavoro che non inquina, spero che lo accetterai quindi, che dici?
    - "Potrei forse prendere il coltello e conficcarlo nel seno di mia madre? Se lo facessi, quando sarò morta ella non mi accoglierebbe più nel suo seno. Vuoi che vanghi e scavi le pietre? Potrei forse scavare nelle sue carni fino alle ossa? Non potrei più allora rientrare nel suo corpo per rinascere a nuova vita".
    - Se questo ti sembra un lavoro pesante ti troverò un lavoro nei boschi, come aiuto taglialegna.
   - Vuoi che tagli gli alberi per farne legname e venderlo al fine di arricchirmi come fanno i gage? Ma potrei forse tagliare i capelli di mia madre?
   - Sei proprio difficile, mia cara; è ovvio che cerchi scuse per non lavorare. Ma ti offro un’ultima possibilità, un lavoro nella natura che non puoi rifiutare; c’è un posto come guardiana di mandrie.
   - Si tratta di bestiame per il macello?
   - Certo, sono mucche che al momento opportuno raggiungeranno il mattatoio.
   - Io non posso essere complice dell’assassinio degli animali, a parte il fatto che il bestiame genera nel mondo il 18 per cento dei gas serra, più di quelli prodotti dai trasporti, e occupa il ventisei per cento della superficie fertile terrestre. Un terzo delle terre coltivabili è sfruttato oggi per produrre cereali per gli animali anziché per gli uomini. I bovini stanno divorando interi ecosistemi. Foreste tropicali sono abbattute per far posto ai pascoli. Noi mangiamo carne e miliardi di persone soffrono la fame.
    - Vuoi dire che rifiuti anche questo lavoro?
    - Ogni volta che mangi carne distruggi il mondo.
    - Sciocchezze, sei troppo radicale, cara mia.
    - Sono solo consapevole delle mie azioni.
    - Insomma, accetti di lavorare, sì o no?   
    - Non accetto di fare i lavori che tu mi offri, - rispose Christine con enfasi.
    Di fronte al fermo diniego di Christine il volto del finanziere si oscurò. Sentì un nodo alla gola, gli venne in petto un triste sentimento, l'antica angoscia. Alzò gli occhi dal computer per guardare Christine ma non la vide. Scorse al suo posto una nebbia chiara, fosforescente, quasi luminosa, che si ingrandiva poco a poco fino riempire e saturare la stanza. Ponzio si sentì mancare, le sue braccia caddero inermi ai lati della sedia. Ma si riprese dopo pochi secondi. La nebbia era sparita e al suo posto vide una povera giovane donna che lo guardava con affetto, intensamente, con due occhi luminosi.
    - Perché mi guardi così? - le chiese, e sentiva ritornare dentro di sé una sensazione di benessere.
    - Tu sei appena una ragazza, non capisci le regole del mondo. A me non interessano le tue idee bislacche sulla terra o su tua madre; siamo in democrazia e ognuno è libero di avere le idee che vuole, finché il suo comportamento resta normale. Ma forse neanche il tuo comportamento m’interessa; fai ciò che vuoi ma non devi predicare o cercare di convincere gli altri ad agire diversamente dalla norma.
    - Non l'ho mai fatto, e se lo facessi sarebbe inutile.
    - Tu menti, è risaputo che inviti la gente a non lavorare.
    - Non l'ho mai fatto.
    - Menti spudoratamente. Tu non conosci per caso una certa Giuditta? E non hai tentato di convincerla a lasciare il suo lavoro?
    - Sì, l'ho incontrata; mi fermò mentre mendicavo e mi chiese cosa pensassi del lavoro. Sembrava molto sincera, interessata a conoscere la mia risposta.
    - E che cosa le hai detto, non hai cercato di farle cambiare vita, di farle abbandonare il lavoro?
    - Ho detto che ogni azione compiuta per un certo fine può essere considerata un lavoro; ho detto che molti lavori sono inutili, dannosi, noiosi, non danno soddisfazione, non contribuiscono a realizzare le potenzialità umane, e il loro fine è solo il denaro. Ma verrà un tempo in cui il lavoro non sarà svolto per i soldi, ma per sé stesso, per quello che significa e vale, qui, adesso. Si pianteranno alberi, si bonificheranno i deserti, si costruiranno case ecologiche per i poveri, si cureranno i bambini africani malati, si coltiveranno orti e giardini, si creeranno oggetti d’arte, si farà musica, si distruggeranno le armi.
    - E poi, cosa le hai quindi raccontato?
    - Niente altro. Smisi di parlare notando lo sguardo beffardo di Giuditta. Io ne fui sorpresa, mi avvidi che non mi aveva compreso, avrei voluto spiegarmi meglio, ma lei si volse attorno, fece un cenno con le mani, e i vostri gendarmi mi afferrarono, mi chiusero in un furgone e mi portarono a Roma, non so perché.
    Ponzio pensò di mandare via Christine e riconsegnarla ai gendarmi di Euro. Aveva fatto di tutto per salvarla, ma lei non si era piegata. Eppure in cuor suo si rattristava di non poterla liberare. La osservò di nuovo, in silenzio, e rivide un alone luminoso attorno a lei. Di nuovo si sentì mancare ma si fece forza, palpò il mazzetto di euro custoditi nella tasca interna della sua giacca, dalla parte del cuore, e ritornò in sé stesso.
    - Tu sei folle e visionaria, - disse, - non v'è stato mai al mondo e non vi sarà mai un tempo in cui l'uomo farà solo quello che gli piace; ci sono i doveri, gli impegni, le programmazioni, c'è il prodotto interno lordo che deve aumentare, deve aumentare, sempre! E non sta a te, zingara, dire il contrario. Chi sei tu? Come osi parlare e agire contro la morale, contro i paradigmi comuni e veri?
    Disse questo quasi gridando, ma si ricompose e con voce più pacata chiese:
    - Ma tu chi sei veramente, in che cosa credi, credi in Dio?
    - Di quale dio parli?
    - Dio.
    - Tu non conosci Dio, il tuo dio è Euro.
    - Stolta, ti ho solo chiesto se credi in Dio.
    - Credo in Dea, nostra Madre.
    - E allora prega tua madre. Che venga a salvarti.
    - Tu stesso mi puoi salvare, lasciami libera, non ho fatto nulla di male.
    - Tu credi che un finanziere di Euro possa far liberare una che parla e agisce come te? Credi che debba anch'io fare la tua fine?
    - Faresti la fine di un uomo vero.
    - Vattene, zingara! - gridò il finanziere.

L'ufficio del papa  

    Serpeggiava nel frattempo nei cieli di Roma un drago rosso che aveva sette teste e dieci corna. Dalla sua coda pendevano mille fili legati a innumerevoli banconote di grosso taglio. Accanto ad esso fluttuava un globo di colore blu e rosa, e il drago lo faceva ruotare con dei piccoli colpi di coda, e ogni volta che lo toccava si liberava una pioggia di banconote.
     “Che sogno strano”, pensò Giusto svegliandosi. Si alzò, si affacciò alla finestra, osservò la vuota piazza San Pietro sotto un cielo sereno. Se ne stette per un po’ a farsi carezzare dallo scirocco leggero e tiepido. Poi richiuse gli infissi e andò a sedersi allo scrittoio. Un cappello color porpora avvolgeva la sua nobile testa, ma non nascondeva del tutto la folta chioma. I suoi piedi erano comodamente calzati in babbucce di cuoio e tutto il suo corpo era avvolto da un manto ricamato con fili d’argento e oro.
    Si udì un tocco gentile alla porta. Era la fedele Marta, che portava un vassoio d’argento con la colazione. Poi arrivò il segretario Volpi.
    - Che altre carte mi porta, segretario? - chiese Giusto.
    - Santità, c’è ancora la questione spinosa del palazzo del Laterano. La Curia suggerisce un aggiornamento del contratto. Forse si potrebbero apportare delle modifiche.
    - Mi sembrava che l’affare fosse già stato concluso. Vi sono nuovi impedimenti?
    - No Santità, ma v'è una certa perplessità in giro, e non solo la Curia, tutti i cardinali sono perplessi. Il palazzo del Laterano è sempre stato una importantissima parte dei beni della Chiesa.
    - L’offerta di Euro pare abbastanza ragionevole. Ce ne sono di migliori?
    - No, nessuno oserebbe entrare in concorrenza con lui.
    - Bene, mi sembra un buon affare. La cifra che offrono è certamente superiore a quella che potremmo raccogliere in un’asta, e possiamo reputarci fortunati di non essere costretti a svendere.
    - Ha ragione Santità, l’offerta sarebbe accettabile, soprattutto adesso, in un momento di grande crisi delle nostre finanze e, tuttavia, diveniamo lo stesso sempre più poveri; è un lento ma progressivo logoramento.
    Il segretario pronunciò l’ultima frase lentamente e con un malcelato senso di tristezza, mentre Giusto inarcava le sopracciglia.
    - Volpi, spero che non si farà prendere dalla malinconia. E poi non si dovrebbe parlar di logoramento ma di rinascita.
     - Certo, la Chiesa rinasce sempre, ogni giorno. Intanto, però, il nostro potere va scemando. E adesso siamo costretti a soccorrere i poveri con la vendita dei nostri immobili. Ma è una buona cosa liberarsi dei nostri beni, cedere anche il palazzo del Laterano, cederlo proprio a Euro, al potere pagano?
    - Non abbiamo altra scelta se non vendere. D’altra parte, né lei, Volpi, né la Curia avete delle alternative valide.
    - L’alternativa ci sarebbe.
    - Quale?
    - Ecco, vede, lo stesso Euro, con un gruppo di manager e di finanzieri, sarebbe disposto a entrare con contributi sostanziali in un'operazione di sostegno che darebbe respiro alle iniziative della Chiesa, della Curia, e...
    - Basta, comprendo. A noi bastano le offerte del popolo, dei fedeli, che sono certo disinteressate. Qualsiasi offerta di danaro che viene dai finanzieri, qualsiasi protezione dei ricchi e dei potenti, ci renderebbe soggetti. Scegliamo di essere poveri ma liberi.
    - La libertà va davanti a tutto, è vero, in linea di principio, tuttavia è anche vero che dobbiamo prendere atto del mondo così com’è, essere realisti, adeguarci ai tempi. Non possiamo promuovere una condotta che risulterebbe impopolare, anche per gli stessi fedeli. Sarebbe una forzatura.
    - Lei ha ragione Volpi, ha ragione nel dire che il mondo è così com'è: è diventato pagano. I nostri stessi fratelli, a cominciare dai più umili, non desiderano altro che seguire gli ideali di Euro. A loro importa solo il benessere, l'efficienza, il guadagno, e adesso anche alcuni religiosi sono diventati dei manager, vorrebbero adeguarsi ai tempi, governare le banche. Noi invece non possiamo degradarci al punto da mescolare le nostre attività pastorali con i bilanci, confondere la legge dell’amore con quella del profitto. Non occorre essere funzionali a Euro e a suo fratello Pil, dobbiamo invece soddisfare il nostro impegno di libertà, il desiderio che l’umanità sia libera, libera dal dilagante consumismo, che è vera e propria schiavitù dell’anima. La Chiesa non deve avere potere e ricchezza, e al papa non deve essere richiesto di essere un buon finanziere. Dobbiamo tornare alla nostra originale povertà. Ordino quindi che non solo i nostri palazzi siano venduti, ordino che siano venduti anche tutti i nostri ori, le gemme, e il ricavato sia dato ai fratelli poveri che vivono nelle baracche. Anche i nostri bastoni pastorali d'argento siano venduti all’asta. Saremo contenti di usare dei bastoni di legno, come quelli dei primi tempi.
    Ascoltando queste ultime parole del papa, Volpi  si sentì mancare e restò muto per lunghi secondi. Si fece quindi forza e rispose con enfasi:
    - Se diamo via il nostro residuo potere economico non saremo più in grado di aiutare i poveri, e anche la forza della predicazione verrà meno; i tempi sono diversi, non possiamo rivivere un passato che non c’è più. Santo Padre, stiamo spingendo la Chiesa verso la rovina economica, verso l'assoluta povertà!
    - Sì, e l'assoluta povertà è forse l’unica condizione possibile in una società organizzata su puri criteri di crescita, produttività ed efficienza. San Francesco e i nostri santi ci sono d‘esempio, e spero che lei, Volpi, non si sia convertito, invece, alla fede nel profitto.
    Caddero entrambi esausti sulle rispettive sedie. Volpi tirò fuori dalla veste un fazzoletto con cui si asciugò il sudore, mentre Giusto mostrava un’aria pensosa. Si pentiva adesso del tono nervoso e duro delle sue ultime parole.
    Poi, ripresa la sua consueta calma, con tono affabile Giusto proseguì:
    - È inutile discutere oltre. Ci rendiamo benissimo conto entrambi che nonostante tutti gli sforzi e tutta la buona volontà, da quando è stato abolito l’otto per mille e da quando il governo ha preteso che anche noi pagassimo le tasse sui nostri immobili e ha cessato di sovvenzionare la nostre scuole, le nostre finanze sono in crisi. Ma è cosa ancor più triste che anche la nostra forza spirituale si sia ridotta. Guardiamoci attorno, Volpi, Gesù l’abbiamo messo in croce ancora, tante volte, noi stessi, anteponendo il compromesso alla radicalità del suo insegnamento; l’ha messo in croce la nostra stessa gente, che segue la materia, i soldi, il potere, quello dei finanzieri. Il loro potere mi tormenta. Adesso non si può fare e dire nulla senza essersi prima consultati con i loro uffici. Hanno un potere immenso e non li controlla nessuno. A chi devono dare conto?
    - A Euro.
    - Sì, Euro, solo Euro riesce a controllarli, il che equivale a dire che solo il potere dei soldi riesce a controllare il potere dei soldi.
    Giusto sospirò, versò il caffè in una tazza di finissima porcellana e cominciò a berlo. Negli intervalli tra un sorso e l’altro annusava l’aromatica bevanda.
    - Marta fa proprio bene il caffè. Devo premiarla. E adesso sono un po’ stanco, caro Volpi, vorrei fare altre cose piuttosto che leggere e firmare documenti in continuazione. Spero che non ci sia altro per adesso.
    - Comprendo, Santità, ma ci sarebbe un documento su cui il governo dei finanzieri amerebbe conoscere la vostra opinione. Eccolo.
    - La mia opinione su di un documento di Euro?
    - E sì, ha bisogno della Chiesa, ma è una cosa da poco.
    - Di che si tratta?
    - Euro desidera che si dichiari eretico il nuovo culto che si sta diffondendo a Roma.
    - Che storia è questa? Chi occorre ancora considerare eretico nella nostra Roma multirazziale e multiculturale ove i culti esoterici si moltiplicano incessantemente?
    - Santità, si tratta di una setta particolare di cui lo stesso Euro ha timore.
    - Euro ha timore? Strano, - esclamò Giusto, che intanto aveva riacquistato il suo buon umore, - e cosa predica questa setta? Chi seguono?
    - Seguono Christine, una nomade.
    - Una nomade? Da dove viene?
    - Da un campo rom di una spiaggia remota della Sicilia.
    - Interessante, continua.
    - È una spiaggia che è stata recintata dalle autorità e vi stanno rinchiusi alcuni rom, quelli che non vogliono lavorare, che si ostinano a chiedere l'elemosina.
    - I nostri poveri fratelli rom sono sempre stati perseguitati, ma dimmi ancora qualcosa su Christine.
    - Sì, la sua vita nomade e primitiva è stata resa impossibile dai seguaci di Euro, l'hanno perseguitata e quindi l'hanno imprigionata.
    - Dov'è adesso?
    - Proprio qui, a Roma, in carcere, e un piccolo gruppo di suoi seguaci si è accampato in periferia, e vivono insieme come in una specie di comunità monastica ove praticano strani riti.
    - E cosa teme Euro da loro?
    - Sono persone devianti rispetto alle norme sociali, persone che predicano la solidarietà e vivono in povertà, senza automobile, televisione, computer, lavastoviglie, forno a microonde, condizionatori d’aria, macchinette digitali, e persino senza tablet e senza ipod.
    - Com'è possibile?
    - È la domanda che ci facciamo tutti e che si sarà posta anche Euro: come sia possibile vivere nel mondo, cioè proprio qui a Roma, nel suo ricco centro, senza desiderare le moderne comodità.
    - Chissà, forse è possibile, forse si tratta di poveri pagani primitivi e innocui, ma ancora non vedo cosa Euro mi chieda.
    - Il vostro contributo è molto importante, Santità. Si tratta, infatti, di una questione delicata. Anche se la televisione non ne mostra alcuna immagine, Christine non è sconosciuta, è una donna che possiede certi poteri, così dicono, e molti simpatizzano per lei, e non è possibile condannarla senza un motivo riconosciuto e condiviso: occorrerebbe vedere come in realtà l’insegnamento di Christine sia in palese contrasto con la dottrina della Chiesa. Se lo fosse, bisognerebbe pure dirlo, magari farne cenno nella prossima enciclica oppure, meglio ancora, dirlo alla televisione.
    - Ah, questo chiede Euro? E a che servirebbe?
    - Per Euro è importante che l’insegnamento di Christine sia condannato anche dalla Chiesa.
    - Capisco, e tuttavia ho l'impressione che Christine non c'entri molto nella questione fondamentale.
    - Che cosa volete dire?
    - Mi pare evidente che Euro voglia semplicemente dare un segnale a chi osa creare una visione della realtà diversa da quella corrente. Capisce bene, caro Volpi, che una cosa è essere poveri e tuttavia desiderare il benessere, e un'altra cosa è innalzare la povertà a ideale di vita, dimostrare indipendenza emotiva dai beni di consumo. E questo, mi pare, è ciò che fanno i seguaci di Christine, non è vero?
    - Sì, sono degli utopici.
     Giusto prese in mano il documento riguardante Christine. Nel frattempo si sentì un tocco leggero alla porta e riapparve Marta con una busta in mano; la diede a Giusto e andò via.
    - Non posso dichiarare eretico l’insegnamento di Christine, - disse Giusto con voce calma. Volse quindi la sua attenzione alla busta che Marta gli aveva consegnato. L'aprì, ma fu sorpreso di non trovarvi alcun messaggio; c’era solo una fotografia che raffigurava una donna di carnagione olivastra tutta avvolta in un raso porpora vivo. Aveva gli occhi scuri e dolci e allo stesso tempo penetranti, e la loro profondità era evidenziata da folte sopracciglia. Giusto fu subito attratto da quella foto e l'osservò a lungo. “Sembra un’immagine della Madonna”, gli sfuggì di pensare. Giusto notò quindi come  adesso l’atmosfera intorno a lui fosse cambiata. Nuove inattese sensazioni lo avvolsero. Si sentì come vuoto di pensieri, e nello stesso tempo leggero e sereno. Socchiuse gli occhi, percepì un gran silenzio che si diffondeva nello studio, penetrava nei muri, nei mobili, negli oggetti, e trovava grande spazio nella sua mente. Il segretario se ne stava muto, in attesa. Passarono pochi secondi che apparvero senza tempo.
    Giusto prese in mano un campanello e lo fece tintinnare. Riapparve Marta.
    - Chi te l’ha data? - chiese, agitando in aria la foto della donna bruna.
    - Paul.
    - Chi è? Che significa tutto questo?
    - È mio fratello.
    - Tuo fratello? Non me ne hai mai parlato, - disse Giusto mentre l’espressione del suo viso diventava incuriosita e dolce, - hai un fratello, e ti ha chiesto di darmi questa foto? 
    - Sì, ama la donna in essa raffigurata, che adesso è in gran pericolo. Ha bisogno di aiuto. Solo il papa può salvarla.
    - Tuo fratello poteva scriverlo. Non sa scrivere?
    - Sa scrivere, ma è un tipo strano, ha lasciato una buona posizione a Londra e vive con i nomadi, ma l’immagine di Christine parla da sé, - disse Marta.
    - Ah, si tratta quindi di lei!
    Adesso la fotografia di Christine stava ben in vista sullo scrittoio. Giusto la guardava attentamente.
    - Pare che questa donna stia causando strane agitazioni nelle menti degli uomini. Non bastano i finanzieri, adesso anche il fratello di Marta se ne occupa. Sarebbe interessante sapere chi è, cosa ne pensa la gente. Tu che sai buona Marta?
    - Poco, quel poco che mi ha detto Paul.
    - Che ti ha detto?
    - Che può dire? Per lui è perfetta, nobile e bellissima; ci ragiona sopra e sogna.
    - E lei corrisponde?
    - Santità, Christine è una giovane nomade. Tutto questo è un affare per sognatori. Lo stesso Euro, mi creda, io penso, ha paura dei fantasmi della sua mente. In realtà Christine è innocua.
    - Forse lei, ma i suoi sostenitori?
    - Sostenitori? Sono solo un gruppetto di giovani visionari, gente che non riesce a inserirsi nella vita reale e che si rifugia in un mondo di fantasia, di alberi, montagne, cieli stellati, uccellini, gioie cui si accede senza portafoglio.
    - Marta, forse tu potresti essere la persona adatta a prendere delle informazioni. Sì, informati, raccogli notizie precise e concrete su questa gente. Ma agisci con gran discrezione.
   
Paul chiede udienza al papa

    Paul aveva spedito a Marta la foto di Christine e adesso, a Roma, non riusciva a entrare in Vaticano per rivederla e incontrare anche il papa. Pensò che non l’avessero accolto a causa del suo aspetto trasandato o dell’immagine di vagabondo che proiettava. L’immagine, cos’è? – si chiese – è una cosa veramente essenziale, reale, o una maschera che ti costruisci o che gli altri ti danno? La sera te la levi e il mattino quando vai in giro te la rimetti. Ma alcuni se la dimenticano, si coricano senza togliersela e l’indomani si svegliano con la maschera ancora attaccata al viso. Vanno a lavarselo e invece si lavano la maschera, e a furia di lavarsela, lisciarsela, rimirarsela allo specchio, dimenticano il loro vero volto, e finiscono col credere di essere la maschera che portano. Ma Giusto non doveva credere a queste apparenze. Lui la maschera, se ce l'aveva, doveva pur togliersela la sera, prima di andare a dormire, e guardandosi allo specchio doveva vedere il proprio volto. Non era, infatti, un uomo come tutti gli altri, come quelli che credono di essere qualcuno solo perché indossano un costume da cerimonia. I lacchè potrebbero gloriarsi per la divisa ricamata entro cui il loro corpo segue la carrozza del padrone, gloriarsi per la forza che li comanda, ma Giusto non aveva nessun signore da seguire, a parte il Signore. Che non gli permetteva di essere orgoglioso. Gli diceva, infatti, che se voleva essere il primo doveva servire gli altri, mettersi a lavare i loro piedi. E questo il buon Signore aveva fatto lui stesso, come si legge nei Vangeli.
    Pensando in questo modo Paul si infervora. Si fermò sotto il colonnato di piazza San Pietro e guardò in direzione dello studio di Giusto. Perché le guardie svizzere non avevano accolto lui, Paul, povero cristo, come un papa? Credeva in cuor suo che Giusto gli avrebbe dato il benvenuto se solo avesse saputo della sua presenza lì, sotto il colonnato, di fronte alle guardie svizzere.
    Pensò che per farsi ricevere avrebbe dovuto telefonare a Marta, lasciare un messaggio nella segreteria telefonica: Marta, sono a Roma, ho viaggiato in un barcone attraversando il Mediterraneo prima di risalire il Tevere, e adesso sono qui, e dove vado a dormire? È notte, tutti sembrano aver trovato un letto; i gatti, i cani e le volpi hanno la loro tana, ma io questa sera non ho neanche un materassino. Sono qui, sotto il colonnato. Fai aprire il portone.

    Il mattino seguente due guardie svizzere lo trovarono addormentato sotto la finestra dello studio del Papa.
    - Deve essere un vagabondo.
    - Oppure è un sovversivo.
Gli diedero uno strattone e Paul sobbalzò.
    - Che fai qui? - gli chiesero
    - Vorrei fare colazione.
    - Chi sei?
    - Un essere umano, - disse Paul irritato, facendo la mossa di alzarsi e andarsene. Ma le guardie lo trattennero.
    - Chi sei? - gli chiese di nuovo una delle guardie.
    - E tu chi sei? Tu lo sai chi sei? - rispose.
    - Io sono Hans, guardia svizzera al servizio del Papa.
    - Non ti ho chiesto il nome né la professione, ti ho chiesto chi sei.
    - Quest’uomo fa il tonto. Non ci resta che chiamare i legionari di Euro. Loro sapranno fargli dire chi è, - disse la seconda guardia.
    - Perdete tempo. Sono amico di Giusto, che vi farà tornare nel Ticino oggi stesso, guardie.
    - È un sovversivo.
    - Ma no, non vedi che è un povero vecchio balordo? È lo stesso pazzo che ieri chiedeva di parlare col papa .
    - È sempre meglio avvertire i legionari di Euro.   

    Poco dopo arrivarono due legionari nerboruti che afferrarono Paul e lo strinsero come in una morsa, trascinandolo via. Percorsero il centro di Roma in un'auto blindata, poi lo spinsero attraverso l’ingresso di un grande edificio, all’interno di un immenso emporio ove scorrevano rivoli di beni di consumo. Apparve il loro capo, un uomo vestito di grigio, che impartiva ordini secchi e decisi.
    - È nostro, non mollatelo, tenetelo, ma non spingetelo, sarà lui stesso a trascinarsi.
    Impaurito e mite come una pecorella, Paul li avrebbe seguiti anche senza essere costretto dalla forza bruta.
    Dopo aver percorso innumerevoli saloni facendosi strada attraverso una densa folla in pellegrinaggio tra banchi colmi di beni di consumo, arrivarono alla base di una grandiosa scalinata che conduceva ai piani dei manager. Salirono. Entrarono in una stanza vuota e priva di finestre. Paul fu infine liberato dalla morsa dei legionari. Chiese da bere e gli fu portata una tazza colma di un liquido acidulo. I due legionari adesso mostravano di essere rilassati. Avevano fatto bene il loro lavoro. Paul sorseggiava la bevanda e cominciava a calmarsi. Si mise a osservare il capo, un uomo elegante, un manager finanziere, che adesso gli rivolgeva la parola.
    - Professione? 
    - Essere umano.
    - Va bene, ma cosa fai nella vita?
    - Psicologicamente, biologicamente, o socialmente?
    - Cerca di non fare il furbo, tanto sappiamo benissimo chi sei.
    - Allora perché me lo chiedete?
    - Sei accusato di vagabondaggio e di contatti con la setta di Christine. Hai qualcosa da dire in tua difesa?
    - Sono innocente.
    - Dicono tutti così. Non ti rendi conto che queste accuse sono gravi, molto gravi? Ti conviene collaborare con la giustizia.
    - Cosa ho io da spartire con la giustizia di Euro?
    - Le domande le facciamo noi. Tu e i seguaci di Christine avete dichiarato guerra al progresso e alla produzione.
    -  Non ho bisogno della vostra produzione, non ho bisogno di molto.
    - È proprio questa la questione, cosa possiedi?
    - Niente.
    - Non hai elettrodomestici?
    - No.
    - Quanta benzina consumi in un giorno?
    - Vado a piedi ad attingere l'acqua del pozzo.
    - Elettricità?
    - Niente.
    - Riscaldamento e aria condizionata?
    - Non ne ho.
    - Il bagno con l’idromassaggio?
    - No.
    - Che computer usi?
    - Nessuno.
    - Quindi non sei neanche collegato a internet?
    - No.
    - Lo sai che puoi essere condannato per questo?
    - C’è tanta gente come me, l’ottanta per cento dell’umanità. Non potete condannare tutti i poveri.
    - Tu non sei un vero povero, si capisce, sei pazzo, devi essere rinchiuso.
    Il manager finanziere osservava Paul attentamente. Intercalava le domande con sorrisi contratti e tirava sospiri guardando l’orologio, un magnifico meccanismo che pulsava di vita propria, e i suoi occhi luccicavano densi di uno strano potere, di una consapevolezza che Paul non afferrava. Il videotelefono squillò. La voce del finanziere divenne dolce, viziata, infantile, e il suo sguardo si concentrò all’interno del piccolo schermo colorato ove compariva una biondina loquace. Il manager si fece cullare e carezzare, ninnare come tra le braccia di una balia, dalla voce contratta e metallica che impartiva ordini. Poi la luce del telefono si spense e i suoi occhi rimasero sospesi nel nulla, lontani dalla grigia realtà lì presente.
    Paul a sua volta lo osservava. Se lo figurava fuori dal territorio costituito dalle sue costose protesi esistenziali, privo del suo telefonino, senza vestiti firmati, privo della sua grossa automobile e delle cose cui era legato, privo del ruolo che giocava, sprovvisto di carte di credito. E allora gli appariva in una luce diversa. Si rivelava ai suoi occhi un uomo debole, un’anima confusa. Pensò che prima di incontrare Christine egli stesso era simile a lui, e ne provò pietà.
     - Sei pazzo. Non hai il desiderio di una vita migliore, di una vita civile e normale? Vuoi dare ad intendere che sei felice, senza desideri? - riprese a domandargli il manager.
    - Non sfuggo i desideri ma la loro mediocrità, - rispose Paul.
    - E cosa desideri?
    - Si tratta di capire cosa si desidera veramente, mirare in alto, e non disperdersi nei corridoi del vostro emporio.
    - Se tutti facessero come te ci sarebbe il crollo dell’economia e dell’occupazione, del Pil.
    - Pochi la pensano come me, e allora di che cosa vi preoccupate? C’è tanta gente sempre pronta ad acquistare i vostri prodotti, anche se non ne ha bisogno.
    - Ma tu chi sei, cosa sei, senza un fuoristrada, senza elettronica, senza carta di credito, senza niente?
    - Io sono. La realtà non è possedere ma essere.
    - Belle parole. Sono queste le idee strane dei seguaci di Christine?
    - Non saprei, - rispose Paul.
    - Lo sai benissimo. Intanto voi siete finiti. Christine è stata arrestata, non potrà più andare in giro a predicare la povertà. Sarà condannata, e anche tu farai la sua stessa fine, come tutti i suoi seguaci. Dov’eri diretto?
    - Non lo so, seguo l’istinto, cerco Christine, spero che sia liberata.
    - Che cosa ti aspetti da lei? Cosa potrà darti?
    - La realtà non è quella visibile dei beni di consumo.
    - Conosci tu forse la realtà? Sei solo un povero vagabondo. Dimentica Christine e ritorna a lavorare.
    Il manager guardò Paul con disprezzo e se ne andò via seguito dalle guardie.

    Paul rimase solo, chiuso in quella stanza angusta. Non si perse d’animo. Pensò che non era veramente solo; v’erano altrove uomini come lui, poveri, ma distaccati osservatori del mondo. Erano in pochi e dovevano tacere, perché troppo fino adesso si era parlato, mentre le cose erano sempre rimaste immutate, o erano peggiorate. Una terribile volontà o necessità stava trasformando la terra in un deposito di scorie industriali tossiche e i mari in pozze nere di petrolio. I tonni del Mediterraneo erano pesanti di piombo, il merluzzo dei mari del nord era diventato radioattivo. La neve cadeva in agosto, i fiumi straripavano, i ghiacci si scioglievano, le città sprofondavano nel mare. Ma i seguaci di Euro prosperavano. Si erano introdotti in tutti gli istituti, negli uffici pubblici, nei governi, nei comuni e operavano indisturbati, diffondendo la loro fede. Allo stesso tempo i saggi andavano a rifugiarsi nel deserto, nelle terre marginali, mentre gli extracomunitari si stringevano numerosi alle porte dell’impero di Euro, varcavano i confini, venivano richiusi in campi di concentramento o costretti alla schiavitù. Gli euriani non amavano il loro prossimo, depredavano i poveri e nello stesso tempo li temevano. E Christine era un nemico da lottare. La sua stessa presenza in qualsiasi luogo poteva essere rivoluzionaria e sovvertitrice. Diffondeva attorno a sé gioia ineffabile; la sua felicità si propagava e nessuno che avesse un cuore sincero poteva non esserne colpito. Si spiegava così non solo l’attrazione che esercitava sui suoi fedeli, ma anche l’odio feroce dei seguaci di Euro i cui interessi crollavano dinanzi all’estasi. Gli euriani sapevano bene, si rendevano ben conto che il loro potere era fondato sulla promessa di una felicità effimera, sulla pubblicità. L'estasi nel presente li scompigliava. Anche il loro apparato istituzionale e poliziesco sarebbe crollato come castello di sabbia dinanzi alla strana felicità di Christine, una felicità immediata, nel presente, che si basava su niente, su nessun'immagine mondana e su nessun possesso o potere. Ciò era inammissibile, se non fosse stato assurdo. Gli euriani avevano paura del sorriso dolce di una donna povera e felice. Non era questo un paradosso? Una cosa inspiegabile? Il potere di Euro vacillava di fronte al sorriso pago della povertà.
   Christine non parlava, non appariva alla televisione. E certo, se vi fosse andata minore o nulla sarebbe stata la sua forza. Si sarebbe inserita nel vortice, nel mondo dei mass media ove regnava l’apparente libertà di parola, di idee e di opinioni. Le idee e le parole, soprattutto quelle pubblicitarie, che indicavano la possibilità di mondi felici, gorgogliavano ovunque, come le bollicine nell’acqua gasata. Qualsiasi idea poteva essere liberamente divulgata, e poi digerita, trasformata in immagine televisiva, in fiction, in telenovela, in merce. Il potere di Euro era concreto, efficace, manipolava gli uomini, cementificava e inquinava il mondo, distruggeva le antiche culture, uniformava le coscienze, corrompeva gli animi. Ma i seguaci di Christine cercavano una via di salvezza, perseguivano valori diversi. Non lottavano direttamente contro Euro. Si erano resi conto che il suo potere era forte e ben radicato nel cuore degli uomini. Anche se fosse stato abbattuto, i vincitori avrebbero occupato il posto dei vinti ed Euro sarebbe risorto. I seguaci di Christine avevano quindi deciso di ignorarlo, vivevano come fratelli, scambiandosi doni, avevano smesso di lottare e di stressarsi in un mondo competitivo e si erano dedicati alla serena intensità della vita. Il silenzio di Christine raccontava la verità. Se Christine ti guardava ecco che la sentivi dentro il cuore. Il suo sorriso ti conquistava, dissolveva le parole che prima andavano a ragionarsi da sole dentro la tua mente. Ti rendevi conto che lo spazio della tua stessa vita non era verbale ma ampio e sereno. Capivi che avevi bisogno non delle cose desiderate dalla mente ma di quelle anelate dal cuore. Non desideravi le cose, il potere di Euro, ma desideravi l’amore, anche se non sapevi come realizzarlo, come farti prendere e avvolgere.
    Così Paul andava ragionando tra sé mentre era rinchiuso nell’ufficio del manager, seduto dietro un pesante tavolo, aspettando lo sviluppo degli avvenimenti. Si udirono infine dei passi nel corridoio. Riapparve l’uomo vestito di grigio.
    - Puoi andare. Non sappiamo che farcene di uno come te, ma la nostra speranza è che tu ti ravveda. Ritorna al tuo lavoro, che era ottimo, lo sappiamo; guadagna, spendi, spendi, fai girare l'economia, contribuisci alla crescita infinita di Pil nostro dio. Tutto il resto è follia.
    Poi chiese a Paul di seguirlo. Attraversarono di nuovo i saloni dell’emporio e Paul si ritrovò libero sul marciapiede di una strada affollata della città.
    Fece alcuni passi nei pressi dell’emporio e poi vi rientrò. Le luci erano abbaglianti, gli oggetti in vendita infiniti; c'era di tutto, qualsiasi cosa che la mente dell'uomo potesse desiderare. Paul si recò nel reparto abbigliamento. Con i soldi dell'elemosina acquistò un paio di scarpe nuove e un vestito da prete, che indossò.
    A passo leggero s'incamminò di nuovo verso il Vaticano, indugiando talvolta a osservare la sua immagine riflessa nei vetri dei negozi.
    “Chi sono io? Prima credevo di saperlo, ero un manager, ma adesso non saprei più definirmi. Ma sono, sono semplicemente, mentre gli altri mi giudicano da come mi presento, da quello che indosso; e adesso forse, vestito così, come un prete, mi faranno entrare in Vaticano,” pensò.
     Si ripresentò alle guardie svizzere.
    - Sono atteso in udienza dal Papa, ecco l’invito, - disse, traendo dalla tasca interna dell'abito nuovo l’etichetta: “Lavare a secco. Pura lana vergine del Cashmere”.
    - Da questa parte padre Cashmere, la sala delle udienze è da questa parte, - e la guardia svizzera s'inchinò lasciandolo passare. 

    Dentro il palazzo del Vaticano Paul avvertì gli sguardi sfuggenti ma espressivi in direzione del suo vestito nero, che gli dava l'apparenza di un antiquato prete di campagna.
    Percorse un lungo corridoio, girò a destra, salì regali scalinate i passi posando su spessi tappeti rossi. Attraversò un ingresso antico e si trovò in un salone immenso, vuoto, dalle pareti affrescate con immagini di storie sacre. In fondo al salone v’era una cattedra di legno scolpito e accanto ad essa una porta che Paul attraversò; entrò in una stanza e si trovò di fronte ad altre scale. Salì e raggiunse un giardino pensile di piante lussureggianti. Qui scorse una vecchia sedia a sdraio e vi si adagiò. Il sole tramontava dietro una palma nana.

Il sogno di Giusto

    Intanto, dopo la conversazione  con Volpi, sopraggiunta la sera e rimasto solo, rilassato su di una poltrona dello studio, Giusto si era messo a meditare. Si sentiva bene in quella stanza ben arredata, spaziosa ma non troppo grande, austera ma non fredda. Volse lo sguardo intorno, osservò le pareti decorate, i quadri, le antiche librerie colme di libri, il lampadario spento che pendeva dal soffitto, la tenue fiamma di una candela. Tutto gli appariva familiare. Adesso il difficile rapporto con Euro e i suoi finanzieri sembrava non dargli più tanta preoccupazione. D’altra parte non si era mai lasciato influenzare o intimorire da uomini che erano per lui solo strumenti di forze più grandi, imperscrutabili e misteriose. Certo, la situazione era difficile, il mondo era diventato pagano, Euro cercava di usare la Chiesa per i suoi fini, ma la chiesa non si piegava, era anzi tornata a essere missionaria tra la gente incredula, il papato aveva ancora significato, una missione da svolgere prima del compimento dei tempi.
    I pensieri di Giusto tornavano con insistenza a Christine. Di lei conosceva ben poco; si trattava effettivamente di una pagana? E come si spiegava il fastidio che procurava al potere? Il potere dei finanzieri, che erano veramente pagani, presi dalle realtà materiali, lontani dall’eterna verità divina, non poteva essere infastidito da un semplice culto esoterico. Si doveva trattare di ben altra cosa. E poi, cos’era la serenità che sentiva adesso, mentre osservava nuovamente la foto inviatagli da Paul?
    Volse attorno a sé lo sguardo; nella penombra, alla luce fioca di una candela, un grande specchio gli restituiva un'immagine oscura. Ma si sentiva leggero e sereno. Andò in camera da letto. Si coricò. Attraverso la finestra un raggio di luna penetrava nella stanza e gli  illuminava il viso, ed adesso Giusto dormiva, e...

    Blocchi di marmo formavano una scalinata che serpeggiava su per la montagna attraverso una fitta foresta. Giusto procedeva piano, posava i passi con cura, osservava le foglie, i rami, i maestosi tronchi carezzati da un vento leggero. Si volse a guardare il panorama. Da una parte la grande estensione della foresta si perdeva a vista d’occhio, mentre nella direzione opposta si scorgevano vette solitarie bianche di neve, cieli vasti ove nuvole si coloravano d’oro e di rosa. Giusto ascoltava il mormorare degli alberi, la voce dei ruscelli, il silenzio dello spazio senza fine. Raggiunta la sommità del monte, scorse una piccola radura. L’attraversò e vide che andava a finire in un precipizio. Sul ciglio era posato un trono ove Euro stava seduto di fronte a un grande schermo a cristalli liquidi.
    - Che fai tu qui, Euro, sull’orlo del precipizio, il tuo posto non è Francoforte?
    - Ti aspettavo.
    - Sei in bilico, potresti cadere da un momento all’altro.
    Euro non rispose ma rise per alcuni istanti, e la sua stridula risata, che sembrava scaturire da una profondità sinistra, angosciò e ammutolì la foresta. Il sopraggiunto silenzio della natura fu teso, gravido di un peso insopportabile. Dense nuvole sospinte da un vento gelido si abbassarono cupe tra gli alberi. Poi, dopo lunghi secondi, prima solo a tratti, qui e là, timidamente, e quindi in tutta la foresta, il canto degli uccelli riprese, e si udirono di nuovo le voci degli animali selvatici.
    - Guarda qui, Giusto, dentro questo schermo, e non ti fare distrarre dalla natura. Guarda Roma, guarda i suoi abitanti vivere nelle loro case ricche, guarda le fabbriche ove si producono mille cose, gli empori colmi di beni. Vedi? Prima era un deserto, un deserto di alberi, di animali, di montagne, di natura selvaggia, ma noi l’abbiamo trasformato con il nostro lavoro, abbiamo bucato le montagne ed estratto il ferro, i diamanti, l’oro, tutte cose senza cui tu non dovresti vivere; abbiamo fermato i fiumi, inondato le valli, imprigionato gli animali, li abbiamo uccisi e masticati, abbiamo estirpato alberi secolari e li abbiamo triturati, abbiamo cementificato campagne e spiagge, edificato grandi periferie urbane, abbiamo prodotto armi e le abbiamo vendute ai poveri, abbiamo trasportato merci da un capo all’altro del mondo, abbiamo creato lavoro per la gente, occupazione, benessere, ricchezza. Questo abbiamo fatto con il nostro potere.
    Giusto guardò dentro lo schermo e vide Roma, la gloria di Roma, ricca di innumerevoli oggetti, di oro, di argento, tappeti, schiavi, automobili, videotelefoni, forni a microonde, computer, condizionatori d’aria, elettrodomestici, tablet, ipod.
    - Anche tu, Giusto, potrai essere felice, possedere tutte queste cose; io te le darò se cacci via Christine dal tuo cuore, se cadendo ai miei piedi mi adorerai.
    Nel pronunciare queste ultime parole Euro appariva stravolto e i suoi occhi s'infiammavano, anzi schizzavano fuoco; fremeva in tutto il corpo, trepidava attendendo una risposta. Nuvole nere di tempesta risalivano in alto dalla profonda valle.
    - E allora, Giusto, pensaci. Tu sei papa, ma adesso questo non significa più tanto. Sei solo una figura di rappresentanza e il tuo potere si è logorato nei secoli. Devi cominciare di nuovo, come all’inizio, come quando eri un vescovo cristiano nella Roma imperiale. Hai fatto bene nel passato. Ti sei comportato bene. Mi ha fatto piacere vederti lottare per il potere, versare il sangue degli innocenti e degli eretici. Ma la storia non si è sviluppata per il verso giusto. E adesso chi sei? Cosa possiedi? Sei un poveretto. Inchinati, prostrati dinanzi a me, adorami, ed io ti ricompenserò con grande generosità, ti farò prosperare e il tuo potere rifiorirà, i re torneranno a ubbidirti, ed io ti sarò sempre accanto. Inchinati, Giusto.
    Giusto rimase in silenzio e attonito. Euro avrebbe mantenuto la sua promessa se... inchinarsi dinanzi a lui? Umiliarsi? Perché? Per il potere dei soldi... rinunciare adesso alla libertà, gratificare Euro, riconfermarlo nella sua infinita potestà, riconoscerlo, e quindi ritornare a Roma come trionfatore tra una folla inneggiante, essere papa, vero papa e signore, essere venerato, temuto, quasi adorato, guidare i fedeli verso un paradiso immanente, materiale.
    Si sentì un grido straziante: una volpe solitaria gridava come un bimbo torturato, e poi vi fu un breve silenzio carico di dolore.
    - No! – esclamò, con voce che sembrava sprigionarsi da un luogo interiore profondo, e in esso vibrava, riecheggiava, quindi svaniva nella radura.
     - No, - ripeté calmo, - le tue offerte non mi interessano. Il Signore Dio mio io adorerò. Allontanati da me, vade retro Euro, tu non pensi secondo Dio ma secondo il profitto.
    Euro impallidì. Si accartocciò nel suo trono e i suoi occhi iniettavano sangue, odio e disperazione. Si udì il fragore di un tuono.
    Giusto fece appena in tempo a balzare indietro mentre improvvisamente una voragine si apriva ai piedi di Euro che, ancora seduto sul suo trono, vi sprofondava, inghiottito da una nube nera perforata da rosse scintille.
    - Che sollievo! - disse Giusto, - è finita per te, povero diavolo.
    Si svegliò quindi, fortemente impressionato dal suo sogno, e trovava difficile riaddormentarsi. Pensò che un giro all’aria fresca tra le piante del giardino pensile gli avrebbe fatto bene. Si alzò.

Giusto incontra Paul
     
    Giusto si mise a passeggiare nel giardino pensile del palazzo. Tutt’intorno v’era quiete. Scorse Paul che riposava seduto sotto una palma nana e pensò che dovesse essere il giardiniere.
    - Ha annaffiato tutte le piante? – gli chiese.
  A questa domanda ferma e autorevole Paul si risvegliò e non ricordava dov’era.
    - A dire il vero non ne ho avuto il tempo. Ma che ora è? Chi ha acceso la luce? - rispose.
    - È una notte di luna.
    - Sì, la luna è luminosa.
    - Luna romana.
    - Va dappertutto, naviga sui mari, attraversa le nubi, vola sulle colline e poi va a fermarsi nel cielo di Roma.
    - Naviga anche nel tempo.
    - Pochi la guardano. Io preferisco guardare la luna, sa, non ho il televisore, - disse Paul.
    - Ah, anche lei!
    - Anch’io? Che intende dire?
    - Voglio dire che alcuni uomini del nostro tempo non guardano la tivù.
    - Nella luna puoi vedere tutto, tutti i programmi umani.
    - Ma ci vuole fantasia. Non dorme in camera stasera?
    - Veramente non sanno che sono arrivato. C’erano delle guardie svizzere che avrebbero dovuto presentarmi al papa. Io gliel’ho chiesto, ma non mi hanno creduto.
    - Cosa non hanno creduto?
    - Che ho anch’io il diritto di parlare con lui.
    - E lei chi è?
    - E no, basta! Non mi fare anche tu, Giusto, la stessa domanda. Sono. Devo essere qualcuno, qualcosa, anche per te? Devo essere un’immagine ben definita per essere riconosciuto? Sono un uomo, questo ti basti! - così Paul esclamò con vigore. Se ne restava quindi disteso sulla sedia a sdraio di fronte al papa che in piedi l'osservava.
    - Be’, avrai pure un nome, - gli disse calmo.
    - Paul.
    - Ah, allora sei tu!
    - Io chi?
    - Sei uno zing... un transeunte, il fratello di Marta.
    - Marta, Marta, la conosco. Anche lei guarda la luna.
    - Eh sì. Ma intanto dimmi, da dove vieni?
    - Da Londra, e riprenderò presto la mia vita di nomade.
    - Che strano, sono in tanti adesso a vagabondare. D'altra parte la vita in città è diventata insopportabile. Tu sei quindi uno di loro.
    - Di loro?
    - Non sei stato tu ad inviarmi la foto di Christine?
    - Sì.
    - Sono curioso di sapere qualcosa di più su di lei. Raccontami.
    Giusto si sedette accanto a Paul, pronto ad ascoltare. Nel frattempo s’era nel giardino pensile alzato un vento leggero tra le foglie delle palme nane. Ma Paul rimaneva in silenzio, reticente.
    - Nessuno conosce Christine.
    - No? Avrai pure avuto qualche contatto con lei.
    - Si l'ho incontrata, e non potrò mai più dimenticarla. Lei mi sorrise e fui sopraffatto da una sensazione di calore in mezzo al torace, i miei pensieri si acquietarono, mi sentii felice. Compresi che lei era sempre vissuta accanto a me, dentro di me; c'era sempre stata una Christine nel mio cuore.
    Così dicendo Paul si commosse e non poté continuare. Giusto rimase silente. La luna era alta in cielo.
    - E sì, Paul, - disse infine Giusto con voce paterna, - ti comprendo. Ma dimmi piuttosto, che rapporto avete voi, seguaci di Christine, con il potere di Euro?
    - Nessuno, solo che gli euriani si accaniscono contro di noi, ci accusano di non avere una dimora fissa, di non lavorare.
    - E tu non lavori?
    - Sì, anzi, lavoravo, lavoravo per i soldi, pensando di arricchirmi, e mi sono arricchito; ma poi ho mandato tutto al diavolo; adesso faccio solo ciò in cui trovo diletto, e nessuno mi paga. Per questo, credo, fui arrestato e schedato.
    - Euro ha paura dei fantasmi. E dimmi, questa tua Christine dove si trova adesso?
    - È qui a Roma.
    - Perché, cosa fa qui?
    - I seguaci di Euro la tengono prigioniera, vogliono processarla, tu devi intervenire, Giusto, devi proteggerla. Senza di te è perduta.
    - Perduta... Christine sarebbe perduta, e perché dovrei proteggerla, sfidare Euro? Tu non conosci il suo potere, è deciso, forte, ed è pronto a tutto per attuare i suoi piani, per soddisfare ogni suo piccolo capriccio. E certo, Christine è solo un capriccio per lui. Ha cose più importanti da fare. Piuttosto tu, tu stesso non t'immischiare in questi affari, lascia Euro lottare da solo contro i suoi fantasmi. Non capisco come questa donna riesca a infuocare la passione degli uomini, a possedere la vostra anima, a soggiogarvi.
    - Parli così perché non l’hai mai vista.
    - Che importanza può avere incontrarla? Mi chiedo se lei non sia solo un conforto nella tua condizione di... sì di vagabondo; forse la dimenticheresti se avessi una casa, degli affetti.
    - Non potrei.
    - Vai in giro, segui Christine, un’immagine da adorare, una figura ideale. Cerchi in lei ciò che dimora in te, nella tua profondità. Perché questo forse vai cercando, te stesso.
    - Potrai anche aver ragione, Giusto, ma Christine ha bisogno del tuo aiuto.
    - Dio l’aiuterà. Se Dio vorrà servirsi di me in questa faccenda, lo farà. Ma non ti prometto nulla. Piuttosto tu, invece di perdere tempo in giro per le strade del mondo, cerca ciò che è vero, eterno, cerca l’infinita realtà che ci trascende, ma che è anche in mezzo a noi, dentro di noi, e... senti, Marta mi ha parlato di te, sei un uomo colto, mi ha detto, questo è bello, ma devi pur vivere, lavorare.
    - Lavorare... per fare cosa, per produrre beni inutili, veleni, bombe; non m'interessa. Molti lavori sono schiavitù, altri sono giochi di ragazzi immaturi, sono noiosi, alienanti; non si dovrebbe lavorare più di quanto è necessario per vivere, per soddisfare i bisogni veri, essenziali.
    - Il lavoro è utile in ogni caso.
    - Taluni lavori lo sono.
    - Potresti fare un lavoro utile.
    - Mendicare è anche un lavoro, e sono libero.
    - Ma vivi sulle spalle degli altri. In quanto alla libertà, può darsi invece che vuoi solo fuggire, andare da luogo in luogo, predicare il tuo impossibile ideale di povertà.
    - Sì, così come ha già fatto il tuo Signore.
    Giusto non rispose, ricordò la recente conversazione con Volpi, le proprie parole a favore della povertà. Poi fu improvvisamente preso da altri pensieri. Il primo raggio del sole mattutino cadde sul suo volto stanco per l’alzataccia. Perché non era riuscito a riaddormentarsi e aveva sentito il bisogno di andare in giardino? E se dopo una lunga giornata di lavoro si rilassava in un tenero sonno perché era poi risvegliato da strani sogni? Si rivolse di nuovo a Paul:
    - Presentati al mio segretario. Abbiamo bisogno di un archivista, ti daremo una prebenda mensile e te ne starai tranquillo.
    Si salutarono.

La conversione

    Giusto tornò nel suo appartamento, entrò nello studio, diede uno sguardo alle carte ammucchiate sopra lo scrittoio. Poi si sedette, si guardò intorno come soleva fare nei momenti di riflessione. La stanza si animava di una nuova presenza. V’era nell’aria una dolcezza, come un profumo inebriante, una pace senza fine, pregna, sconfinata, dilatata oltre le mura dello studio. Giusto si chiese da dove provenisse. S’immerse quindi in sé stesso, ma appariva a sé stesso straniero, misterioso, aveva un sentimento nuovo, o lo riscopriva, una dolce tensione dell’essere. Poi sentì la fragranza del caffè che annunciava l’arrivo di Marta. E infatti si udì vibrare un tocco alla porta, ma era lieve, quasi timido.
    Entrò una donna bruna, avanzò con passo leggero, pose il vassoio della colazione sullo scrittoio. Si volse quindi verso Giusto e sorrise.
    Giusto sgranò gli occhi, la guardò stupito. Poi si sentì venir meno, ed ebbe solo la forza di bisbigliare un nome: Christine...?!

    Giusto era stato un buon papa e aveva immesso nella secolare istituzione vaticana un’energia nuova. Aveva saputo creare un ottimo equilibrio tra il valore profondo della sua missione e le funzioni politiche e coreografiche che il ruolo gli richiedeva. Era inoltre riuscito a dare nuovo impeto alla evangelizzazione, non più evidenziando il volto forte e dogmatico della Chiesa ma ponendo l’accento della predicazione sul messaggio d’amore di Gesù. Ma adesso, dopo aver raggiunto una posizione alta nella storia dei papi, avendo anche la possibilità di realizzare altre visioni originali del suo pontificato, rimaneva come se insoddisfatto. Si chiedeva cosa fosse un certo ricorrente senso di vuoto della sua anima. Si domandava anche se una certa sua irrequietezza, che si rivelava nel sonno disturbato da sogni strani, non scaturisse dal contrasto non solo con Euro ma anche con la curia. E tuttavia, pensava, non erano certo gli altri la fonte del malessere che spesso affiorava in lui. Piuttosto, i rapporti umani disarmonici erano forse solo l’espressione di una disarmonia più grande nel cuore dell’uomo, nella stessa sua esistenza e identità. Anche se il potere papale, pur ben modesto rispetto a quello di un grande manager esecutivo di una multinazionale di Euro, doveva certo dargli un forte e soddisfatto senso d'identità, Giusto non se ne inebriava. La consapevolezza della caducità umana era per lui il contrappeso di qualsiasi esuberanza dell’io. Gli uomini, anche i più grandi, tutti, sarebbero poi sempre ricaduti in terra. Giusto sedeva sul trono di Pietro, osservava la grandiosità del palazzo, ma sapeva che anche le più grandi costruzioni umane erano posate in terra. Anche la vita degli uomini grandi doveva avere un fondamento in basso, nella terra che li generava e li nutriva, e che se li riprendeva. E allora, di fronte alla certezza della fine di ogni percorso umano, che senso prendeva ogni identità e ogni potere? E che senso poteva avere la transitoria umana vita senza la fede? Giusto a volte sorrideva del tenace attaccamento che gli euriani dimostravano verso il potere e la ricchezza, verso il proprio io, la cui forza non era altro, secondo lui, che una copertura della loro inconfessata angoscia di fronte alla provvisorietà di tutto, di fronte all’ineluttabile futura fine della loro gloria, del nome, dell'immagine. Dominavano la natura e gli uomini e pur se privi di fede ricercavano l’eternità attraverso il dominio e le grandi conquiste. Ma la loro ricerca era vana, solo una grande illusione. Lo stessa adorazione di Euro, non era altro che un vano surrogato della vera fede.
    In questo modo Giusto andava continuamente facendo molti diversi discorsi dentro di sé. Gli veniva anche di ritornare al passato. Si chiedeva se la sua attuale insoddisfazione, i sogni strani, potessero avere una causa lontana. Ricordava le tappe della sua vita, i successi, le grandi lotte e le vittorie, i primi turbamenti d’amore, l'irrevocabile decisione per il celibato e il percorso ecclesiastico, e poi, e forse di più, ricordava gli anni della fanciullezza. Ricordava i suoi genitori, sua madre, tornava al sentimento, anzi al gusto della vita che lei gli aveva comunicato, lei che lo aveva concepito nel piacere... E la sua origine era legata al desiderio che la vita ha di se stessa, a un caso, oppure emergeva da altro, da cosa? Da Dio? Parlare di Dio era facile, troppo facile per lui. I suoi vasti studi di teologia lo rendevano capace, capacissimo, di trovare soluzioni dottrinali a tutte le domande esistenziali. Ma non era questo ciò che propriamente desiderava. Adesso, e la cosa gli appariva di una certa gravità, “Dio” era diventato solo una parola, un concetto abusato dalla teologia, dalla storia, dal potere, da alcuni dei suoi stessi predecessori. Ma certo, non aveva perso la fede. Piuttosto, adesso voleva ritrovare Dio dentro di sé, fuori da ogni nome e da ogni dottrina. Ricordava a memoria le parole di San Massimo il Confessore: "Con la santa partecipazione ai puri e vivificanti misteri, l'uomo riceve l'intimità e l'identità con Dio; con essa ottiene di diventare Dio, da uomo che era". Ma queste gli sembravano parole grosse, troppo vicine ai misticismi orientali. Tuttavia Giusto si guardava dentro, ed era qui ove cercava, nel suo sentimento, che doveva essere sicuro, fondamentale, di unione con Dio. Era come se cercasse di realizzare un’origine divina, una dimensione più vasta dei limiti della sua vita personale.
    Su tutto questo ragionava tra sé nei momenti di debolezza e massimamente nei giorni precedenti all’incontro con lo sguardo di Christine.
    Scorgendola ora innanzi a sé, così, improvvisamente, non sapendo come fosse entrata nel suo appartamento, egli fu folgorato da un'istantanea ma profonda intuizione. Avrebbe ricevuto da Dio, attraverso di lei, il dono di un sentimento profondo, dolce e sereno, di sicurezza e di pace, di forza interiore incrollabile, di fiducia senza limite nella vita.
    Christine non parlava, gli sorrideva con indicibile dolcezza.
    Giusto volse gli occhi verso di lei, la guardò per un attimo e subito abbassò il viso come abbagliato, con la sensazione, adesso, che nello sguardo ricambiato avrebbe trovato  l’oblio di tutte le sue domande. Si concentrò in sé stesso per alcuni secondi, poi tornò a guardarla negli occhi: vi scorse una luce, che gli appariva come una rinascita e, stranamente, allo stesso tempo, come una fine; e questa era quindi la sua fine, la fine del suo vecchio io, e adesso si sentiva di morire. La fine... morire... doveva morire prima di rinascere. Passò un secondo, un attimo di tempo senza limite ove la sua anima fu per lui come essere sulla superficie di un mare in tempesta. E le onde si innalzarono al cielo e gridò il vento di angoscia, nuvole nere oscurarono il sole, e la barca di Giusto eccola sballottata senza direzione, ecco la possibilità del naufragio. Poi sembrarono scomparire anche le onde, ma non fu l’arrivo della bonaccia, fu una situazione estrema: non ci fu più in lui uno spazio per essere, un appiglio cui aggrapparsi, un luogo ove fuggire, da cui fuggire e dove tornare, e non ci fu neanche un naufragio, perché forse, il naufragio, per quanto terribile, sarebbe stato preferibile alla mancanza di essere, al soffocamento dell’anima. Così, Dio non solo sembrava toglierlo dalla sua grazia, ma adesso lo cancellava via da qualsiasi luogo, e questa era la sua voce, il suo vuoto, il suo terribile modo di rivelarsi. Giusto sentiva Dio, insopportabile, nel cuore, per tutte le membra; era troppo, ma non poteva porgli resistenza, era impossibile sfuggirgli. “Non la mia ma la volontà tua sia fatta”, questo fu l’ultimo suo pensiero, e si lasciò cadere sulla poltrona.
    È un abbandono che miracolosamente si trasforma, si rompe in dolci e rinfrescanti mistiche lacrime. Christine gli si avvicina e gli carezza dolcemente la folta chioma. Giusto continua a guardarla negli occhi, senza parole. Quegli occhi... stelle brillanti in uno spazio immenso, profondità ove la vita si rivela. Poi guarda fuori dalla finestra e osserva il cielo blu oltre le colonne di piazza San Pietro. Il tempo presente si dilata e, di fronte a Christine, specchio di infinita chiarezza, diventa un luogo di luce, di vita nuova.                             

Le dimissioni del papa
                          
    Nel frattempo Paul, che non era al corrente della presenza di Christine in Vaticano, aveva deciso di proseguire il suo viaggio. Ma prima di lasciare Roma si chiese come sarebbe stata la sua vita se fosse rimasto. Il tranquillo lavoro d'archivista offertogli da Giusto sarebbe stato adatto a un uomo della sua età. Gli avrebbero dato un appartamentino, i buoni della mensa, uno stipendio. Avrebbe lasciato la scomoda vita di mendicante itinerante; avrebbe dormito sempre nello stesso letto, non più sotto i ponti o dentro un barcone sulla spiaggia, si sarebbe alzato di buon mattino, si sarebbe lavato, vestito, rasato, avrebbe fatto colazione, sarebbe andato in archivio a ordinare carte impolverate. Chissà, forse avrebbe scoperto cose nuove, avrebbe letto documenti interessanti, fatto amicizia con gli altri impiegati. E questa è la vita, si sa, si nasce, si cresce, si lascia il luogo natio, ci si lega a una nuova situazione, si contraggono e si mantengono delle abitudini, si diventa sedentari, si dimentica il comandamento di Gesù: siate transeunti. Ma Paul aveva già compiuto il percorso comune della vita e adesso, dopo mesi di nomadismo, si sentiva troppo randagio nel cuore per accettare l'idea di tornare a lavorare chiuso in un ufficio. Sarebbe tornato a richiudersi in un mondo sicuro di abitudini e si sarebbe di nuovo allontanato da sé stesso, dal sentimento che lo legava a Christine. Così pensava ma non sapeva ancora che, anche volendo, non avrebbe mai ottenuto alcun posto in Vaticano.

    Apprese dai giornali la notizia delle dimissioni del papa e ne rimase colpito, non poteva crederci, non era possibile. Paul si chiese quale potesse esserne stato il motivo; l'impossibile rapporto con Euro, con le multinazionali e con una chiesa ormai quasi del tutto marginalizzata? Oppure si trattava di altro, forse di un certo senso di stanchezza che non avrebbe permesso a Giusto di fronteggiare le sue nuove responsabilità? Infatti, c'erano adesso gli impegni gravosi per il giubileo del 2050, ma Giusto non se ne sarebbe sottratto se non per un motivo molto serio. Quale? I giornali non lesinavano le più varie e strane interpretazioni. Parlavano anche di crisi mentale, di un morbo misterioso che avrebbe minato in Giusto la capacità di intendere e di volere. Secondo certi commentatori, quindi, Giusto era stato colpito da una passione religiosa ed esistenziale che male si integrava con la funzione storica e istituzionale del papato, e non c'era dubbio che una volta ristabilito avrebbe ripreso la guida della Chiesa. Ma la stampa riferiva e commentava anche le ragioni che Giusto stesso affermava essere la vera causa delle sue dimissioni. Egli si sarebbe trovato di fronte alla scelta di continuare ad essere il capo di una gerarchia di pastori oppure ad essere fedele a sé stesso, alla sua vocazione di servo di Dio. Piuttosto che continuare a impersonare un ruolo ormai storicamente ridotto, Giusto aveva preferito risalire alla fonte e alla giustificazione della sua chiamata, ritornare alle origini storiche e umili della fede. A questa non facile scelta si era quindi unita la rinuncia ai residui privilegi del potere pontificio come pure il rifiuto di un ruolo anacronistico seppur ancora formalmente prestigioso. Inoltre, le dimissioni erano state per lui l'unica azione possibile nella realtà di un mondo pagano ove il Cristianesimo, se voleva ancora essere vivo, doveva tornare alla predicazione, all'esempio di vita, agli apostoli, lasciandosi dietro qualsiasi pesante fardello, il peso di una millenaria istituzione temporale, ogni legame con il potere.
   
    Lo scalpore che seguì le dimissioni di Giusto fu grande. In tutto il mondo si parlava di questo evento e lui stesso si meravigliava della sua sopraggiunta improvvisa popolarità. Dovette prima di tutto constatare che la sua vecchia immagine, pur se non più corrispondente a quello che lui si sentiva dentro, non era come un vestito che si potesse mettere e togliere a piacimento. Egli continuava a essere considerato pontefice anche se era dimissionario, anche se adesso si mescolava alla gente comune e viaggiava in autobus. Anzi, quando vi saliva, l'atmosfera diventava reverenziale, la gente lo invitava a sedersi, spuntava fuori da chissà dove qualcuno che gli dava un cuscino, altri gli mettevano un tappetino sotto i piedi. L'autobus diventava una specie di papabus che procedeva tagliando la folla acclamante. Ma la popolarità di Giusto non era una questione che riguardava solo lui. Anche se egli non era il primo papa dimissionario della storia, anche se la costituzione elettorale della Chiesa prevedeva che la sede papale potesse essere considerata vacante per una rinuncia valida del titolare, e non solo a causa della sua morte, pur tuttavia le sue dimissioni aprivano un universo di questioni, di dubbi, di dispute che, cessando di essere esclusivamente teologiche, diventavano politiche e, cosa molto importante, cominciavano ad interessare, a volte infervorare, l'uomo della strada. Dapprima la reazione e lo stupore più grandi si manifestarono, ovviamente, all'interno della gerarchia ecclesiastica e del cattolicesimo. I prelati cattolici rimasero confusi, sconcertati. Ma in seguito anche i cristiani protestanti entrarono in fermento. Giusto affermava chiaramente, infatti, che il dogma dell'infallibilità papale cadeva; diceva che il papato non era una struttura di potere ma di servizio, e quindi veniva anche meno uno dei principali motivi della loro separazione dai cattolici. Ma che altro avrebbe detto e fatto quest'innovatore radicale? I protestanti stavano all'erta. Se apertamente erano sempre stati in disaccordo con l'autorità del Papa, in fondo in fondo e segretamente, divisi com'erano in tante sette, sentivano forse il bisogno di una guida alta e unificatrice. E ora che Giusto non era più un papa, e non si richiedeva loro obbedienza, ora essi potevano considerare di onorarlo, forse anche seguirlo. Ma l'argomento della fallibilità papale divideva soprattutto i cattolici. Si poteva considerare infallibile la stessa dichiarazione che aveva fatto Giusto a favore della fallibilità del papa? Oppure tale dichiarazione era essa stessa fallibile? La questione non era solo di natura logica ma riguardava le origini del papato e cominciava quindi a investire a pieno la figura di San Pietro le cui ossa si rivoltavano nella tomba, come qualcuno affermava. Ora, infatti, alcuni studiosi richiamavano l'attenzione sull'inadeguatezza di Pietro a essere la persona adatta per l'investitura di primo papa. Essi affermavano che un'antica deficienza, cioè la stessa giustificazione storica e teorica del potere impossibile di Pietro, di un potere biblicamente incongruente, veniva a galla adesso, dopo tanti secoli, in modo dirompente e, attraverso il tormento interiore di Giusto, finiva con l'erodere insieme al dogma dell'infallibilità del papa anche quel poco che restava dello sfarzo e del potere temporale della Chiesa.
    Dalla questione attorno all'infallibilità del papa si passò poi a quella del suo potere. Ma il potere di Pietro alla fine cos'era? Adesso nessuno aveva più alcuna remora a porsi tale domanda, e la si dibatteva nelle tavole rotonde. Era questo un potere giurisdizionale, pieno, universale e immediato? Quest'ipotesi, dicevano gli studiosi, non poteva essere accettata poiché i fatti storici non ne davano conferma. Infatti, era stato Giacomo il capo giurisdizionale nella chiesa primitiva. E allora, invece, era il potere di Pietro solo quello di pascere le pecore? Alcuni canonici dicevano che in realtà Pietro non aveva mai retto la Chiesa, ma piuttosto l'aveva servita con il semplice compito di confermare la fede dei suoi fratelli. Pietro sembrava venire fuori dalla sua tomba più come un apostolo missionario che come un papa giuridico.
    D'altra parte, se Giusto aveva chiaramente abdicato al trono di Pietro, non aveva però mai detto apertamente di rinunciare anche alla sua vocazione di pastore. Infine, coloro che gli restavano fedeli affermavano che le sue dimissioni ossigenavano la Chiesa e finalmente la riportavano alla sua cifra originale.
    Ma le dimissioni di Giusto turbavano Euro soprattutto. Gli euriani temevano la possibilità di un nuovo scenario; cioè che un cristianesimo originale e primitivo potesse divenire un movimento contro di loro. La possibilità più temuta era che questo movimento si sarebbe unito a quello di Christine, alla predicazione silenziosa ed estatica di una visionaria sacerdotessa della Grande Madre. E ciò avrebbe pericolosamente dislocato i valori sociali consolidati sospingendoli su di un piano irreale, fittizio, in una dimensione che poco o nulla aveva a che vedere con la crescita economica. Adesso, come si era visto alla televisione, Giusto viaggiava sulla groppa di un asino verso un luogo santo, ma poi, dopo il suo ritiro spirituale, che avrebbe fatto? Se ne sarebbe stato muto e in disparte? O sarebbe andato in giro, calzando sandali e indossando un misero saio, predicando chissà quale nuova e anacronistica buona novella? Euro non era tranquillo, ma non poteva chiudere le finestre dei mass media che, inseguendo la legge dell'indice di ascolto, riportavano dettagliatamente tutte le dichiarazioni e azioni di Giusto, che diventava sempre più popolare. E il turbamento di Euro consisteva anche in questo, nel dover riconoscere che adesso un papa povero, dimissionario, privo di potere politico e di pretese teocratiche, stava acquistando, grazie anche al sostegno dei mass media, una nuova e grande influenza morale e una capacità simbolica cui anche facevano riferimento nuovi movimenti e nuove mode. E sembrava quindi avverarsi l'antica profezia di San Paolo per il quale quando si è deboli allora si è veramente forti.
    Alcuni pensavano che i nuovi eventi fossero un segno dell'inizio del disfacimento del mondo globale. Certo, di sicuro, cominciavano a manifestarsi qua e là delle screpolature, alcune divisioni, delle chiare antitesi, anche tra le classi più ricche, e non solo tra le persone colte ed illuminate. Si faceva strada l'ipotesi che la comunità europea potesse cominciare a indebolirsi e sciogliersi. Un certo fermento serpeggiava, quindi, stranamente, tra le elite del potere. Erano proprio queste, o settori di esse, che, possedendo tutto e ogni aspirazione di potere e di consumo avendo soddisfatto, si rivolgevano adesso all'esoterico, ai culti proto orientali, a tutto ciò che era nuovo. Queste elite avevano ammirato il gesto del Papa, e forse lo avrebbero appoggiato nel caso egli avesse avuto l'intenzione di fondare un nuovo movimento religioso o politico. Le dimissioni di Giusto parevano dimostrarsi insomma come un catalizzatore inatteso per fermenti già esistenti, e sembravano essere l'inizio del ribaltamento di quei valori materiali che erano stati fino a poco tempo prima ferrei e indubitabili. La stessa passione per Euro, che cementava gli individui in una società consumistica, cominciava a non esercitare più per tutti, almeno in apparenza, il suo antico fascino, e ciò appariva veramente grave agli ortodossi adoratori di Pil. Era una tendenza che adesso si accennava appena ma che, se non fermata in tempo, avrebbe potuto assumere grande importanza. Lo stile di vita semplice inaugurato da Giusto con la sua rinuncia al potere e al danaro, aveva colpito, infatti, gli animi, forse quelli più deboli, e molti adesso cominciavano a manifestare, quasi ad ostentare, uno snobismo al contrario. Molti si gloriavano di non indossare abiti firmati, di non possedere più un’automobile, di spostarsi con i mezzi pubblici, di fare a meno del superfluo e di certa tecnologia, di vivere una vita semplice ed essenziale. Ma se all'inizio erano solo prevalentemente i ricchi che potevano permettersi di giocare a fare i poveri, ci si chiedeva se a poco a poco la moda non si sarebbe diffusa tra le classi medie. Sarebbe stato un disastro se anch’esse avessero cominciato a ridurre i loro bisogni al minimo indispensabile, accettando l'idea bislacca di Giusto, così spesso riferita dai mass media, secondo cui la felicità ha carattere immateriale. Tuttavia, a dire il vero, quest'idea poteva attecchire, paradossalmente, solo in una società già ricca, poiché i poveri, quelli veri, si sa, non ci avrebbero mai creduto.
    Per la prima volta nella sua lunga esperienza di grande divinità e manager del mondo globale, adesso Euro doveva rassegnarsi al fatto che la popolarità di un suo antagonista dipendeva in gran parte da fattori fuori dal suo controllo. Nessuna meraviglia quindi se, a causa di questa frustrante limitazione, la cupidigia del suo dominio era diventata irritazione, quasi una nevrosi ossessiva. Euro perdeva la calma che si accompagna alla consapevolezza della forza, e quindi smarriva il dominio del proprio umore e l'ammirevole distacco di chi, stando in alto, può osservare e guidare il corso degli eventi.
    Adesso per le strade di Roma si respirava un clima di sospetto. E nel frattempo Paul, che dopo aver appreso la notizia delle dimissioni di Giusto ebbe l'idea di tornare in Vaticano, si meravigliò di trovare piazza San Pietro sbarrata da innumerevoli poliziotti. Il dispiegamento delle forze d'ordine era ingente. Furono definiti criminali, cioè nemici dello sviluppo, e quindi di Pil e di Euro, tutti coloro che erano sospettati di condurre una vita semplice e quindi contro il consumo e la crescita economica. La polizia speciale antiterrorismo cominciò a operare contro gli eretici e nel giro di pochi giorni questo organismo, che si avvaleva dell'esperienza delle più moderne ricerche di mercato, mostrò la sua efficienza operando diversi fermi e imprigionando chi, pur avendo soldi, non consumava abbastanza.

Paul rivede Giusto

    Questa atmosfera divenne presto noiosa per Paul, che riprese il suo cammino. Pensò di ritornare da Christine, che adesso, fuggita dalla prigione, e dopo essere stata per breve tempo accolta da Marta in Vaticano, si nascondeva in un luogo remoto e segreto della Sicilia. Paul tuttavia rimaneva intrigato dalla figura di Giusto. Ora che questi era praticamente, e non più solo teoricamente, dalla parte dei poveri, sarebbe stato interessante parlare con lui. Inoltre, si domandava Paul, Giusto credeva ancora in un Dio Padre e patriarcale, oppure, dopo il suo fatidico incontro con Christine, aveva cominciato a prestare qualche interesse per Dea Madre? E Gesù chi era per lui veramente? Era figlio del Padre oppure della Madre, o di entrambi? E Giusto lo seguiva ancora? Avrebbe fondato una nuova teologia? Paul si poneva queste domande insistentemente.
    La regione impervia e montuosa ove Giusto si era ritirato era nota, e Paul andò a cercarlo.

    Si trovò a camminare ai bordi di una grande montagna verde. La scalata era difficile. Non v'erano strade percorribili né alcuna traccia di sentiero. Da lontano la montagna gli era apparsa imponente, ma poi scompariva alla vista man mano che si cominciava a salire. Al suo posto, come un drago verde che la inghiottiva, appariva la foresta. Paul camminava, sudava, si arrampicava, e si chiedeva come Giusto avesse fatto a raggiungere la cima, ove si trovavano le grotte antiche degli eremiti. Poi la fortuna lo aiutò e scorse tra gli alberi, coperte da muschio e spesso dislocate da radici, delle pietre poste l'una dopo l'altra in modo da formare una scalinata serpeggiante su per la montagna. Adesso non occorreva che seguirle, salire, salire ancora. Tuttavia il percorso era impervio, e Paul procedeva lentamente, con cura, e allo stesso tempo osservava gli alberi, le foglie, i rami, i maestosi tronchi.
    Infine, raggiunta la cima, si volse a guardare le nuvole che navigavano in cieli infiniti. La grande estensione della foresta si perdeva a vista d'occhio fino a raggiungere i fianchi di altre lontane e solitarie vette. Al mormorare della foresta, alla voce dei ruscelli, si univa il silenzio dello spazio senza fine.
    In cima al monte v'era una radura delimitata da maestose querce e in un suo lato, a ridosso della roccia, era visibile una costruzione in pietra. Questa era in realtà l’anticamera di un antico dedalo di grotte che perforavano la montagna e che a loro volta erano raggiunte da correnti calde provenienti dalle profondità della terra. Nei secoli passati tali grotte erano servite agli eremiti come un rifugio ideale lontano dal mondo.
     Paul bussò a una porta che fu aperta.
    - Paul, sei tu!?
    - Giusto! - esclamò Paul commosso.
    - Sono contento di vederti.
    Paul aveva più volte immaginato il suo nuovo incontro con Giusto. Aveva previsto che sarebbe avvenuto in un contesto umile, e tuttavia si meravigliò di trovarlo là, come fuori scena, vestito da monaco. Faceva veramente un'impressione strana.
    Paul abbracciò l'eremita. Invitato a entrare e a sedersi, cominciò a osservare l’ambiente. La stanza era quasi spoglia; c'erano un giaciglio e pochi mobili, una rudimentale cucina a legna, alcuni semplici utensili. Una finestra aperta dava su di un giardinetto circondato da mura interrotte da archi, una specie di primitivo chiostro.
    Adesso un silenzio incantato cancellava ogni parola. E ogni possibile conversazione avrebbe mascherato la sensazione che andava affiorando: era un silenzio contagioso, come una sostanza densa e dolce che impregnava la stanza, le cose, ed entrava nell'animo di Paul, colpiva e trafiggeva i suoi pensieri.
    Giusto aveva rinunciato a tutto fuorché alla sua vecchia abitudine di bere il caffè. La fedele Marta, che si era ostinata a seguirlo fin lassù, era adesso intenta a disporre con cura dei legnetti sotto una piastra e, dopo aver dato loro fuoco, nutriva la fiamma con il soffio generato dal movimento di un ventaglio. Marta sistemava quindi la caffettiera sul fuoco e si metteva a sedere come per riposare e riflettere. Adesso se ne stavano tutti e tre fermi e muti. I suoni della foresta si udivano chiaramente e non c'era più intorno a loro alcun segno della civiltà, e non c'era più Roma, la televisione, la pubblicità, le dispute teologiche, nessun segno di Euro. C'era solo pace. E poi, i primi borbottii della moka si trasformarono nel sibilo continuo della pressione, e contemporaneamente si diffuse nell'aria la fragranza del caffè. Marta riempì le tazzine. In silenzio lei Paul e Giusto annusarono la bevanda, la sorseggiarono. I loro volti apparivano sereni.

    Dopo il rituale del caffè Giusto si rivolse a Paul:
    - Ti meravigli di vedermi qui?
    - Sì, veramente.
    - Adesso mi vedi essere come sempre avevo desiderato.
    - Non ti senti solo quassù?
    - No, ho molti nuovi amici con cui mi intrattengo, che mi fanno compagnia e mi allietano. Ma non restiamo dentro questa stanza, è un giorno bellissima, vieni, usciamo, andiamo a parlare con i passeri.
    Paul lo seguì all’aperto.
    Giunti nel fitto della foresta, si fermarono ad ascoltare il canto degli uccelli. E poi Giusto si mise a parlare con loro. 
    Cari passeri, - disse, - siete curiosi e attenti e trovo in voi l'ascolto che le dure orecchie degli uomini tecnologici non mi presterebbero, assorbiti come sono nelle loro passioni. Mi rivolgo a voi come ai miei fratelli, e voi, di grazia, tenete in conto le mie parole e ricordatele, perché, chissà, forse un giorno gli uomini vorranno ascoltare e voi parlerete loro.
    Cari pennuti, conoscete il necessario e non avete desideri inutili; non avete potere ma nessuno opprime la vostra anima; non sperperate e salvate la terra; non avete bisogno di tecnici e di esperti, proprio come chi coltiva il proprio orto, tesse la propria seta, pianta gli alberi da cui coglierà i frutti; siete lieti perché avete abbandonato il passato divenendo degni del presente; e siete voi i primi ad aver compreso che, liberata dalle preoccupazioni e dal dolore, la vita in sé e di per sé stessa è gioia; diffondete la gioia tra gli uomini; fate loro nel silenzio ascoltare il vostro canto e la voce della natura; affinché tacendo essi scoprano il significato delle parole; guardando dentro di sé conoscano gli altri; non distraendosi trovino la loro radice.

    Alla fine della predica agli uccelli Paul chiese a Giusto perché non tornasse a Roma per aiutare gli uomini a risolvere i loro problemi. Giusto rispose che non ce n'era bisogno. Il mondo era stato creato da Dio ed era compito suo prendersene cura. E solo Dio poteva salvarlo, soprattutto adesso che la confusione era tanta.
    - Ciò che dici è vero, Giusto, ma perché non dai al Signore la possibilità di usarti come suo strumento? - Paul incalzò.
    - Non sta a me dare al Signore delle possibilità ma è Lui l'unica possibilità che ci resta.
    - Ma devi predicarlo agli altri.
    - Ho parlato e non mi hanno ascoltato, ma quando i loro cuori saranno pronti non avranno bisogno delle mie parole. Si volgeranno ai passerotti ed essi parleranno.
    - Ma quando, quando, Santità, i cuori degli uomini saranno pronti ad ascoltare?
    - Si dovrà prima avverare l'apocalisse.
    - Che vuoi dire?
    - Anche le grandi nazioni d’oriente hanno adottato i modelli di consumo occidentali; inquineranno ancor più la terra e l’aria, bloccheranno i fiumi con immani dighe, distruggeranno le foreste. La terra morirà, la luna sorgerà dal mare sterile, le montagne saranno bruciate, un angelo verserà la sua coppa nei fiumi e nelle sorgenti delle acque che diventeranno amare. I re della terra si inebrieranno ancor più del vino della prostituzione. Gli uomini bruceranno per il terribile calore, enormi chicchi di grandine pesanti come talenti cadranno dal cielo, ci saranno guerre, furti, violenze, insicurezza, depressione, carestie, alluvioni, ed Euro farà guerra ai poveri, e tanta gente innocente soffrirà.
    - Ma tutto questo avviene già adesso!
    - Sì, ma gli uomini non riescono o non vogliono vedere le cause dei loro mali e rimediare. Continueranno per la loro strada ciecamente, fino alla fine.
    - Come sarà la fine?
    - Sofferenza.
    - E poi gli uomini apriranno gli occhi e vedranno?
    - Forse, o moriranno prima di capire.
    - È terribile, che possiamo fare? Dillo tu, Giusto.
    - Solo Dio ci può salvare.
    - Ma Santità, fai qualcosa anche tu.
    - Paul, ascolta, in tempi lontani gli occhi delle persone più semplici riuscivano a vedere la natura delle cose direttamente. Poi sono venuti i potenti e si sono messi a comandare e a organizzare il mondo secondo i loro interessi, e poi sono venuti i dotti, gli scienziati, i tecnici e gli esperti, e hanno spiegato a loro modo la realtà. Infine sono venuti i manager finanzieri che arraffano tutto ciò che possono, riducono tutto a merce di scambio. E adesso i semplici sono confusi, guardano programmi d’evasione alla tivù. Pensi che altre prediche potranno mai salvarli?
    - C'è sempre una speranza, no? Predica agli uomini e raccomanda loro di non bruciare combustibili fossili, di non trasportare le merci da un capo all’altro del mondo inquinando l’aria, di produrre e consumare nella stessa regione ove vivono, chiedi ai politici di tassare pesantemente le emissioni nocive, di eliminarle, di promuovere l’energia solare, concedi indulgenze a chi pianta alberi, dichiara essere santo chi fa a meno dell’automobile e usa i mezzi pubblici, scomunica chi distrugge le foreste, chi fa le guerre, chi produce le armi, chi le vende, scomunica i mafiosi, i prepotenti e i violenti, i ladri e gli approfittatori, predica, predica contro le ingiustizie, contro il conformismo, contro il sonno delle coscienze, predica, Giusto.
    - Sei un ingenuo Paul, la gente non cambia perché fai loro delle prediche e poi... sono già venuti in molti a predicare. Hanno scritto programmi per nuove rivoluzioni, ma le catene degli uomini piuttosto che rompersi si sono moltiplicate. Sono venuti i giusti e nel loro nome si è sopraffatto il debole, torturato l'innocente.
    - Ciò non ti libera dalle tue responsabilità, Giusto. La tua beatitudine non cambia nulla nel mondo; invece di essere un punto di arrivo deve essere un punto di partenza, non deve renderti indifferente verso i problemi degli altri, verso i loro sentimenti e le loro sofferenze. Te ne stai su questo monte come se il mondo non esistesse.
    - Lascia che il loro destino si compia. Ma noi cerchiamo il regno del Signore.
    - E tu cosa fai per questo regno?
    - "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: eccolo qui o eccolo là. Perché il regno di Dio è già in mezzo a noi". Guarda dentro di te.
    - Facile a dirsi, ma come realizzarlo?
    - Contemplati nel fondo, oltrepassa le perturbazioni dei tuoi pensieri, e cerca il regno, e per fare ciò non affrettarti, prendi il tuo tempo. Non sforzarti di cambiare il mondo, ma guarda, sii testimone, osserva e conosci te stesso e da te stesso comincia. Tutto ciò che vedi fuori puoi ritrovarlo dentro di te; siine testimone. Osserva la guerra che non è solo fuori, ma anche nel tuo cuore. Prima di fare qualcosa per gli altri aiuta te stesso, trova la pace nel tuo mondo interiore, e quindi porta pace ove vai. Cambia direzione. Se tu cambi il mondo cambia. Volgi lo sguardo lontano dalle cose effimere e vedrai il regno. Il regno è dentro di te, è il tuo stato naturale, è la dolce corrente della vita.
    - Ecco, queste cose belle che dici a me, qui, su questa montagna, perché non vai a dirle a tutti?
    - Anche se io parlassi chiaro non mi ascolterebbero. Dormono sulla cresta di un vulcano, ma se li chiamassi, se cercassi di svegliarli non mi sentirebbero, o mi si rivolterebbero contro.
    - Ma parla lo stesso, in nome di Dio, tu sei papa!
    - Nel nome di Dio hanno dato ordini di morte. Io parlo nel mio nome e chi vuole Dio se lo cerchi, e se Dio ti cerca ti troverà. Dall'azione di una mente confusa nasce maggiore confusione. Realizziamo invece i nostri limiti e ripetiamo continuamente: non più io ma tu, o Signore. E lasciamo che il Signore faccia di noi ciò che preferisce e che si prenda cura del mondo Lui, direttamente, e che parli Lui con la sua propria voce. Solo Dio ci può salvare.   

    Paul fu colpito dalle apocalittiche parole di Giusto. Lo lasciò e si mise a riflettere camminando all’ombra di querce secolari. Le persone per lui più interessanti e autentiche che aveva incontrato viaggiando si erano separate dal mondo per condurre una vita semplice, se non eremitica, come Giusto. Questi ben vedeva e conosceva la condizione dell'umana sofferenza oltre le glorie e gli splendori di Euro. Avrebbe parlato, se qualcuno l’avesse ascoltato. Giusto non voleva quindi tornare a Roma e predicare, profferire parole. Quante prediche si fanno! Ma chi le ascolta? Ognuno le intende secondo la sua forma mentis. Hanno inteso così, hanno cioè frainteso, le parole di Gesù, maestro di Giusto, e Giusto aveva capito, e per questo se ne stava in silenzio. E adesso era il suo silenzio a parlare.
    Paul vagò per un po’ nella natura, poi a sera fece ritorno all'eremo, rivide Giusto e Marta raccolti in preghiera presso una grande quercia e si unì loro.
   V’era un grande silenzio e sentirono una profonda pace scendere su di loro come una pioggia dolce. E mentre il silenzio cresceva, il loro io andava a tuffarsi in un cielo infinito, ne era inghiottito, si dileguava. Restavano solo le stelle, grandi, mute, spettatrici di un piccolo pianeta lontano.

    - Attraverso la preghiera riacquistiamo memoria della nostra origine divina, e qui, in questa notte naturale, ricordiamo anche la luna, le stelle, altrove oscurate da tenebrose luci artificiali, - disse Giusto, e poi, rivolgendosi a Paul:
     - Dove andrai adesso?
    - Non so se tornare alla ricerca di Christine o restare qui con te, - Paul rispose.
    - Christine è una donna meravigliosa, un angelo di Dio, una cristiana vera; ritrovala e amala, senti la sua gioia riverberarsi in te, ma non dimenticare Gesù, il nostro vero signore e maestro. Caro Paul, - proseguì a dire Giusto, - tu pensi, e hai ben compreso che la verità non è quella di Euro, o della vanità che si propaga alla tivù, ma è quella che Dio ha scritto nel tuo cuore, e che tu realizzi nel silenzio. Tuttavia, non ritirarti dal mondo, vivi tra gli uomini, lascia le montagne degli eremiti, poniti in cammino, vai, osserva, guarda, conosci, ma segui sempre la strada del tuo cuore. Anche quando sarai tra i fondamentalisti adoratori di Euro e di Pil, anche tra di loro, non dimenticare la grazia di Dio, non lasciare la gioia del silenzio. Porta il tesoro divino serrato nel tuo cuore, perché Dio abita in te. E adesso vai, ritorna nel mondo di Euro, vivi in esso ma non prendere parte alle sue opere malvagie. Sii testimone silente dell'amore di Dio, in Gesù rivelato.

    Il seguente mattino si salutarono abbracciandosi, e Paul proseguì il suo solitario cammino. Ripercorse il sentiero giù verso la valle, desideroso di rivedere Christine e di proseguire con lei il cammino di transeunte. Si guardò dentro, cercò di riflettere. Credeva di poter scegliere, forse poteva credere o illudersi di essere libero, di poter seguire il suo istinto o la sua anima, o i consigli dei saggi. Che altre possibilità gli restavano? Era solo con i suoi pensieri, eppure comprendeva di non esserlo completamente; crediamo di pensare liberamente ma i nostri pensieri sono già stati mille volte pensati e ripetuti, e adesso siamo noi a riformularli, credendo di crearli per la prima volta. Ma Paul era convinto di pensare in modo originale; era un transeunte, un seguace di Christine, e adesso, dopo aver ascoltato Giusto, poteva anche, e a giusta ragione, considerarsi un seguace di un maestro di cui prima ignorava il valore: Gesù. Anche Gesù era stato povero, realmente, e anche un transeunte, anch’egli era stato un eremita nel deserto, come Giusto. Era stato perseguitato, come Christine, vilipeso e oltraggiato, come i poveri.
    Certo, Christine era serena, sempre lieta, mentre Gesù appariva a Paul un tipo più tormentato, con quel suo strano rapporto con suo Padre, che alla fine lo abbandonò inchiodato su di una croce. Gesù aveva un padre iroso e offeso che doveva esser placato, che esigeva un sacrificio umano, la morte di una sua creatura, di suo stesso figlio, la cui ultima preghiera di salvezza non aveva accolto. Se Gesù, invece, si fosse rivolto a Dea Madre, lei l’avrebbe salvato.
    Oppure, era forse Gesù sereno come Christine? Paul non sapeva, chi conosce la verità? Forse solo chi sta nel silenzio; ma nel silenzio non ci sono nomi, non ci sono parole, non ci sono dei, non ci sono dottrine, c'è solo un ineffabile, indicibile, intenso Silenzio, la voce di Dio.
    Così pensava, e procedeva attraverso la foresta. Pensava che la maggioranza degli uomini fossero folli, che la follia fosse divenuta la norma, sapeva che sostanzialmente e oltre certe belle prediche, Gesù era ignorato o ritenuto utopico, un idealista, un’anima bella e fantastica. Perché il mondo vero, reale, era, dopo tutto, quello di Euro e di Pil: perché in molti credevano che alla fine Euro avrebbe avuto il sopravvento su tutte le anime belle.

Ritorno al sud e la sorte di Pil

    Lasciato l’eremo di Giusto, Paul impiegò molto tempo per ritornare a Bulla, tra le opunzie, nel villaggio dei suoi fratelli nomadi. E vagando a piedi tutto solo da monte a valle, attraverso spiagge e campagne, dormendo in luoghi abbandonati e cibandosi di frutta ed erbe, non si rendeva conto che nel frattempo il mondo stava cambiando radicalmente e che i nuovi stravolgimenti sociali erano culminati, infine, imprevedibilmente e contro ogni pessimistica attesa, in una generale situazione di benessere e pace.
    Arrivò di notte che la luna era risplendente su dolci colline e fu accolto dall’abbaiare di cani randagi. Trovò della paglia e ne compose un giaciglio all’ombra di un fico selvatico. Ascoltò la musica lieta di un violino zigano, finché l'aria non tornò a essere tagliata dal silenzio della sua anima. Poi trovò un capanno abbandonato. Entrò, richiuse la porta e si trovò tra quattro pareti fragili e spoglie. Pensò che mai, solo alcuni anni prima, quando viveva a Londra, avrebbe potuto immaginare la sua situazione presente.
    A Londra Paul era vissuto e si era affaticato, sempre in corsa, in mezzo ad altri uomini anch’essi affaticati, anch’essi correndo come levrieri dietro lepri. Ma le lepri erano di pezza, erano finte, come le promesse dei pubblicitari. Correvano tutto il giorno e la sera, sfiniti, si raccoglievano in adorazione di fronte a certi schermi rettangolari che irradiavano diverse immagini da cui essi traevano insegnamento su come pensare, come scegliere, come comportarsi, come adorare Pil.
    Ma Londra era adesso ormai distante, e c’era in Paul solo il ricordo di una città governata dai certosini della City, dai solerti finanzieri barricati nei loro uffici, immersi nella vendita telematica di azioni e derivati senza valore reale, sommersi da carte, stampanti, statistiche, previsioni, resoconti, computer, telefonini, attraverso cui restavano in rapporto virtuale con gli altri uomini telematici.
    E, tuttavia, Paul non sapeva ancora che adesso, dopo la morte di Pil e il collasso di Euro, la City di Londra, era diventata un museo di uffici vuoti, come del resto il vecchio centro finanziario di Francoforte, di New York, Tokio, eccetera.
    Ma come era morto Pil, un dio apparentemente così ricco di salute e di risorse?
    Paul apprese la notizia dai suoi amici nomadi e curioso com’era cercò conferma e ulteriori notizie nei giornali. Quasi tutti i titoli davano la colpa ai Cinesi, vale a dire alla loro abitudine di mangiare il riso servendosi dei fatidici chopsticks, le lignee bacchette usa e getta. In un paese con un miliardo e mezzo di abitanti che individualmente e giornalmente usavano e gettavano quattro bacchettine di legno, intere foreste venivano tagliate ad un ritmo insostenibile. E poiché ogni anno la Cina produceva quarantacinque miliardi di paia di bastoncini di legno, di cui sei miliardi venivano esportati per rifornire i ristoranti cinesi di tutto il mondo, ogni volta che un Cinese ne buttava via un paio, alimentava, senza saperlo, una strage di pioppi, betulle e bambù. Ogni anno si distruggevano due milioni di metri cubi di legno.[1] Ben presto le foreste cinesi si esaurirono e crollò l'industria dei chopsticks di legno. Ma altri uomini fanatici e fondamentalisti adoratori di Pil contribuirono grandemente alla definitiva scomparsa delle foreste. E le foreste scomparvero per un fatto tanto imprevisto quanto semplice: si tagliavano più alberi di quanti ne potessero crescere nel frattempo. Una risorsa fondamentale per Pil venne quindi a mancare del tutto. Ma in un pianeta senza foreste, il clima si imbizzarrì, venne la siccità, vennero le guerre per l'acqua, fallirono le industrie che funzionavano attraverso un grande uso o spreco di acqua, e questo fu un altro colpo mortale per Pil. L'errore basilare dei fondamentalisti adoratori di Pil era stato credere nella crescita economica senza fine, ma la crescita, doveva finire e, come un cancro, finì con la morte del dio sul cui corpo cresceva: il dio Pil.
    La morte di Pil ebbe l'effetto universale che i più anziani tra di noi ben conoscono: gli eventi precipitarono, alla galoppante disoccupazione seguirono disordini, rivoluzioni, carestie, caos. Ma dopo questa immane e globale crisi, che solo alcuni isolati e visionari autori avevano previsto, stranamente e inspiegabilmente, il corso della storia mutò e gli esseri umani rinsavirono. Oggi, nel 2062, le generazioni più giovani non sanno che l’odierna pace sociale, la saggezza dei popoli contemporanei, la loro vita semplice e lieta, i valori adesso universali e condivisi dell’onestà, della solidarietà e della convivialità, dell’amore e della saggezza, sono conquiste che l’umanità ha pagato a caro prezzo.
    Nei primi decenni del secolo, nessuno o pochi sapevano o credevano che la nave stesse affondando. Erano tutti intenti a fare acquisti e a guardare la tele. Era aumentato il prodotto interno lordo, Pil era rubicondo, e allo stesso tempo era affiorato un malore nell'animo umano, una disperazione del cuore, e anche gli uomini più ricchi non erano felici. Per millenni gli uomini avevano lottato, avevano corso la corsa del loro destino balordo, si erano spinti, si erano calpestati, si erano dati colpi bassi ed erano rimasti indifferenti l'uno all'altro. Caduti in terra da una stella misteriosa, o da una vagante oscura meteora, trovatisi immersi nella loro stessa vita, che rispondeva a leggi che il loro pensiero non comprendeva, si erano creati mille illusioni, distrazioni, menzogne e ideologie, senza riuscire, tranne rare eccezioni, a conoscere se stessi. Avevano sempre cercato di conquistare, arraffare, acquisire oggetti, privilegi, posizioni, e poi, alla fine non avevano potuto, in verità, tenere e conservare nulla di reale e umano che non fosse parte, come loro, di una continua corsa che sarebbe giunta a triste compimento. E sì, verso un terribile destino apocalittico si erano affrettati, con le loro atroci follie.
    Ma infine, e già nel tempo del ritorno di Paul a Bulla, la follia umana sembrava completamente finita. Egli si guardò intorno e si avvide, senza l’ombra di alcun dubbio, che il mondo era diverso. Ma come? Cos’era successo? Come mai e in che modo gli uomini avevano riacquistato la loro vera e più profonda umanità? Come mai e perché erano diventati esseri umani? Cos’era avvenuto nella loro psiche? Avevano dovuto per forza viaggiare attraverso indicibili sofferenze per realizzare, infine, la loro umanità? Sembrava quindi che il sopravvenuto vero e profondo umano benessere, fosse come la cima di una montagna scalata via dal dolore e dal male. E durante l’ascesa c'era stata tanta gente che aveva sofferto, di sofferenza vera, irrinunciabile, ma anche di malori artificiali, provocati da chissà quale demone. Perché? Perche la storia dell’uomo era stata cosi tremenda? Perché lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, perché le guerre, i genocidi, e tutte le altre atrocità? Perché gli uomini del passato non erano stati felici, come adesso, nel fare musica, irrigare i deserti, dipingere, coltivare gli orti, dialogare, vivere insieme come fratelli?

    Quanto poi riguarda la città di Bulla, gli amici nomadi di Paul gli raccontarono cosa era avvenuto in sua assenza prima dell’attuale situazione di pace e benessere. Gli dissero che in seguito al crollo delle borse mondiali e al generale fallimento delle grandi banche, delle imprese e delle multinazionali, anche a Bulla v’era stata una grande e generale svalutazione del prestigio di Euro e la gente si era impoverita  a tal punto da non poter più comprare e mantenere neanche un’automobile. I negozi e i supermercati furono saccheggiati dalle folle. Gli economisti classici, vale a dire i sacerdoti fondamentalisti di Pil, si nascosero vergognosi nelle caverne.
    Ma poi, superata la grande crisi, le cose erano cambiate per il meglio anche, e forse soprattutto, in seguito all’oculata politica di nuovi amministratori.  Dato che a causa del crollo del commercio internazionale e della mancanza di benzina, le automobili non erano più usate, le strade carrabili non servivano più e vennero smantellate. Nei grandi spazi resi liberi furono piantati e crebbero carrubi, fichi, palme, nespoli e altri alberi da frutto e ornamentali. Gli orribili edifici frutto della passata speculazione edilizia di Euro furono abbattuti e al loro posto furono costruite graziose case ecologiche con giardino. Insomma, occorre viaggiare a Bulla per rendersi conto di questa grande trasformazione. La città divenne così bella che fu dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Cominciarono ad arrivare i primi turisti, e poi, incantati dai giardini, dalla bellezza del luogo, dall'aria priva del gas delle automobili, e dalla gioia di vivere dei silenti Bullani, gli stranieri arrivarono a frotte, e v'erano tra di essi anche molti Cinesi, i quali dovettero imparare a mangiare il riso con le posate di metallo. Sopraggiunsero anche alcuni Americani, che impararono a fare a meno di automobili mastodontiche, case mastodontiche, grattacieli mastodontici, autostrade mastodontiche, pizze mastodontiche e mastodontici hamburger. Essi si sorpresero nel constatare che potevano vivere contenti, anzi più contenti e sereni di prima, in una città a misura d’uomo. Impararono anche a cavalcare gli asinelli. Dapprima si meravigliarono, quando capirono che non erano animali clonati, ma erano partoriti, come loro, dalle loro madri. Poi cominciarono ad amarli, ricambiati. Alcuni si misero ad adorarli, come prima avevano adorato le loro mastodontiche automobili.
    Paul fu ovviamente per niente sconvolto dalla notizia della morte di Pil e si rallegrò invece della nuova atmosfera che regnava in città e nel villaggio dei nomadi, ormai ben integrati nel nuovo contesto sociale. Infatti, adesso che il peggio era avvenuto e che tuttavia la gente continuava a vivere, seppur con semplicità, e anche più serenamente, nessuno aveva più paura del diverso. Insomma, dopo tutte le catastrofi che nel passato avevano colpito il mondo, il mondo continuava a esserci e la gente era serena e rinsavita.

    Il mondo c'era, non si poteva negarlo, con la sua esistenza palese, la natura, gli uomini, l'aria che si respirava. C'era anche la musica dei violini zigani e quando l’ascoltava, quando i nomadi lo invitavano a unirsi a loro nelle danze, Paul dimenticava tutto, anche sé stesso.
    Anche i Bullani adesso ballavano e cantavano; avendo smesso di guardare la televisione (tutte le reti televisive sostenute dalla pubblicità avevano fatto bancarotta), trascorrevano il tempo in modo creativo, facendo musica e danzando.
    Il valzer era stranamente tornato di moda, presso tutti gli strati sociali, e tutti ballavano, dimenticavano, dimenticavano se stessi e si liberavano dal peso del proprio io.
    Anche Paul aveva dimenticato il passato, e occorre, infatti, ogni tanto o spesso, per igiene mentale e fisica, tagliare le corde col passato e aprire un nuovo capitolo con la guida di Dea; e nel villaggio dei suoi fratelli nomadi di Maregrosso, egli si trovò bene.
    Che musica seducente, quella zigana, leggera, trasparente, trasportante. Paul l’ascoltava con piacere e poi, quando i suoni e le danze cessavano, ritornava nel suo capanno. Sentiva forte la propria esistenza e quella del mondo.
    Il mondo c'era, era reale e pregnante, con tutte le sue cose affascinanti, la musica, l'arte, i cieli sereni, gli arcobaleni, gli amanti appassionati, i bambini che giocavano nei giardinetti. Solo alcuni anziani ex costruttori di armi, alcuni vecchi ex finanzieri, adesso impoveriti, rimpiangevano il mondo che non più esisteva.
    Paul uscì dal suo capanno e si mise a vagare sulla sabbia tra le opunzie. Tirò il secchio dal pozzo e riversò l'acqua nell'annaffiatoio. I cactus avevano bisogno di un po' d'umido. Ferme in cielo nuvole dense racchiudevano lo spazio fino a ridurlo in un luogo intimo, e riflettevano una soffice luce. Una soavità inspiegabile e drogata cominciava a farsi strada nel suo corpo. Paul la sentiva prima tra le costole, in petto, poi, poco a poco, nel ventre, nelle braccia e le gambe, lungo la spina dorsale. E mentre la gioia cresceva, i suoi residui pensieri si slabbravano come buccia spinosa di fico d'India che si fende al sole mostrando la polpa succulenta, e rivelavano una dolce e pregnante assenza. E non avendo pensieri, Paul non riusciva ad afferrare e trattenere più nulla, neanche il suo io. Era felice, meravigliato egli stesso del mistero della sua trasformazione, della sua sopraggiunta serenità. E la sua felicità non aveva un motivo comprensibile, così come incomprensibili erano state per lui le tragedie degli uomini, le loro sofferenze grandi, sin dalla fondazione del mondo.
    Un passerotto, fermo su di un ramo di fico selvatico, sembrava osservarlo. Un vento secco e leggero lo colpiva.
    Adesso Paul si riscopriva vivo, e la vita... doveva essere la sua stessa vita a dargli piacere, niente altro.

    Paul rivide Christine che si recava al pozzo. Si abbracciarono e si scambiarono sguardi intensi di gioia. Sopraggiunsero altre nomadi e, arrivate alla fontana, si fermavano a parlare allegramente. Poi, sostenendo sul capo le brocche colme d’acqua, camminavano lentamente, aggraziate, misurando i passi, e i loro corpi ondeggiavano, ricoperti da colorati abiti, ed era una gioia osservarle.
    Paul comprendeva la beatitudine delle nomadi, di Christine, che adesso, posata in terra la brocca, se ne stava silente e guardava l’infinito blu del mare. Paul osservò anch’egli il mare in intensa mistica comunione con la sua diva. Si sentì quindi un campanello chiamare a raccolta i nomadi per il pasto comune, per l'agape fraterna.          
    Paul si mosse, e anche Christine si diresse verso la cucina, seguita dai suoi gatti. Poi arrivarono Sofia e Kevala, Plastica e Ponzio, non più sofferente d'angoscia, vennero Giusto e Marta, Mario, e anche Volpi, il segretario, e tanti altri, e poi, naturalmente, c'ero anch'io, che ho scritto come potevo questo racconto. Dea, nostra madre, era anche presente.
    A Lei, ovunque ed eternamente presente, Madre dolce e perdonante, misericordiosa e consolatrice, sia onore e gloria.

Fine


Nota dell’autore

    Il lettore avrà notato l’esistenza nel romanzo di pensieri, (taluni posti tra virgolette), di diversi e ben noti autori. Incorporandoli nel testo ho voluto reinterpretarli in modo personale, oltre che romanzesco.
    Così facendo, però, non ho in nessun modo inteso sminuire la loro validità e l’autorevolezza delle fonti, soprattutto se appartengono ad una tradizione per altri sacra, verso la quale nutro profondo rispetto.
    D’altra parte, occorre dire, i pensieri altrui assumono una varia connotazione e un diverso valore o significato quando sono inseriti in un contesto diverso.
    Inoltre, se ben consideriamo, sono pochi, forse pochissimi, i pensieri veramente nostri e originali che non siano già stati pensati e formulati. Potremmo forse dire che noi nasciamo già dentro i pensieri degli altri e quindi li adottiamo, più o meno consapevolmente.

Aforismi e pensieri di autori vari citati o parafrasati nel testo

Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
                                                         Matteo 6/21

Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro che è nei cieli i nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si  preoccupi può allungare la propria vita? E per il vestito perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure, io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Matteo 6/26-29

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
                                                           Matteo 5/11

Le volpi hanno una tana e gli uccelli del cielo hanno un nido, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.

                                                           Matteo 8/20

Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, cadendo ai miei piedi, mi adorerai”. Allora Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: Il Signore, Dio tuo adorerai: a lui solo renderai culto”.
                                                    Matteo 4/8-10
Una sola cosa ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo.
                                                           Marco 10/21

Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: Eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi.
                                                               Luca 7/21

Tu non avresti alcun potere su di me se non ti fosse dato dall'alto.
                                                     Giovanni 19/11

Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno. E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato.

                                                    Giovanni 8/15-16

In principio era il verbo, e il verbo era con Dio, e il verbo era Dio. Egli era, in principio, con Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla di ciò che esiste è stato fatto. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; e la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno sopraffatta.
                                                   Giovanni 1/1-18

Se avete del danaro non imprestatelo a interesse, ma datelo a uno dal quale non lo riavrete.

 I Vangeli gnostici, Adelphi, Mi: 1995, p 18

Con la santa partecipazione ai puri e vivificanti misteri, l’uomo riceve l’intimità e l’identità con Dio; con essa ottiene di diventare dio, da uomo che era.
          
                          San Massimo il Confessore

I desideri sono follie. Eliminali e diventa consapevole: subito ti troverai al di là del tempo. I desideri creano il tempo, se li elimini ti troverai al di là del tempo
.
Osho, Yoga per corpo, mente, spirito, Mondadori, Mi: 2005, p163

Se guardi le persone più ricche della terra, non vedrai altro che mendicanti. E qualche volta succede di incontrare davvero un mendicante, e vedere un imperatore seduto sotto un albero, che non ha niente, che non possiede niente.

Osho, Il canto della Meditazione, Mondadori, Mi: 1999, p 37
La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, Gesù ebbe fame. E avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. E rivolto all’albero disse: “Nessuno mai in eterno mangi i tuoi frutti!” E subito l’albero seccò.

                          Marco, 11/12-14 e Matteo 21/18

Mentre viaggiavo e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una gran luce dal cielo sfolgorò dinanzi a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo,, perché mi perseguiti?
Atti degli apostoli, 22/6-7

Il primo che avendo cintato un terreno pensò di dire "questo è mio" e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassini, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato avesse gridato ai suoi simili "Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno siete perduti!
                                                       J. J. Rousseau

Mi chiedete di lavorare il terreno? Potrei forse prendere un coltello e conficcarlo nel seno di mia madre? Se lo facessi, quando sarò morto ella non mi accoglierebbe più nel suo seno. Volete che vanghi e scavi le pietre? Potrei forse scavare nella sue carni fino alle ossa? Non potrei più, allora, rientrare nel suo corpo per rinascere a nuova vita. Volete che tagli l'erba e il fieno per venderlo al fine di arricchirmi come fanno i bianchi? Ma potrei forse tagliare i capelli di mia madre?

Samohalla, capo Wanapun, pag 89 in M. Eliade, Il sacro ed il profano, Boringhieri, Torino 1973

Come l'ala per l'uccello, l'acqua per il pesce, la vita per il vivo, così tu sei per me, ma dimmi, mio benamato, chi sei? Chi sei in verità?
                                          Chàndogya Upanishad

Il Tao eterno non agisce, eppure non c’è niente che non compia. Se ci si attiene ad esso, ogni cosa si sviluppa da sola. Quando, nel processo di trasformazione, ti nascono desideri, calmali con la semplicità senza nome. Quando i desideri si dissolvono nell’essenza primaria, spontaneamente nascono pace ed armonia e il mondo si ordina da solo.
                               Lao Tzu, Tao Te Ching, (37)

Inseguire desideri fatui ostacola la crescita. Correre qua e là, volere questo e quello... tante vie per impazzire. Abbandona ciò che è fuori. Coltiva ciò che è dentro. Vivi per il tuo centro, non per i sensi.
                              Lao Tzu, Tao Te Ching, (12)

Quando il palazzo del re è pieno di tesori i campi del popolo sono pieni di erbacce e i granai sono vuoti. Se il re indossa vesti sfarzose, se la sua casa è piena di armi, se la sua tavola è colma di cibi e di bevande esotiche, e se ognuno vede che egli ha più ricchezze di quelle che può usare, allora il sovrano è un ladro e un malfattore.

                                Lao Tzu, Tao Te Ching (53)

Il saggio agisce senza sforzo e ammaestra con calmo esempio.
                                        Lao Tzu, Tao Te Ching

Le parole vere non sono elaborate, le parole elaborate non sono vere. Coloro che sanno non sono pieni di parole, coloro che sono pieni di parole non sanno.

                                       Lao Tzu, Tao Te Ching

Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”. Ma non sai di essere infelice; un miserabile, un povero cieco e nudo. Ti consiglio di comprare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista.
                                                  Apocalisse 3, 17-18

Il quarto angelo versò la sua coppa sul sole e gli fu concesso di bruciare gli uomini con il fuoco. E gli uomini bruciarono per il terribile calore e bestemmiarono il nome di Dio che ha in suo potere tali flagelli, invece di pentirsi e rendergli gloria.
                                                 Apocalisse 16, 8-9

Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle da bere la coppa di vino della sua ira ardente. Enormi chicchi di grandine, pesanti come talenti, caddero dal cielo sopra gli uomini.
                                             Apocalisse 16, 19-21

Allora uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe, mi si avvicinò e parlò con me: “Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta, che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione”. L’angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, che era coperta di nomi blasfemi, aveva sette teste e dieci corna”.
                                                  Apocalisse 17, 1-3

Gesù, che si mostra severo con i ricchi, non è un asceta: gli piace mangiare e bere, partecipare ad una festa o dividere un banchetto con gli amici. Non chiede all’uomo di astenersi dal godimento di ciò che Dio ha creato. Tuttavia, mentre il ricco gode il suo banchetto, il povero Lazzaro deve accontentarsi delle briciole cadute sotto il tavolo. Questo è il peccato: Dio ha apparecchiato la tavola del mondo per tutti i suoi figli, ma l’appropriazione egoistica di questa tavola da parte di alcuni è la negazione del progetto di Dio.

Josè Miguez Bonino, Uno spazio per essere uomini.

Postfazione dell’autore
 
    La prima stesura di questo romanzo è del 2011, tempo in cui io riflettevo su di una singolare affermazione di papa Luciani, letta in un testo di cui ho perso traccia: “dovremmo sostituire i nostri bastoni d’argento con bastoni di legno, come quelli dei primi discepoli”.
    Pensai, allora, che se papa Luciani fosse vissuto più a lungo e avesse veramente tentato di realizzare quest’idea in tutte le sue pratiche implicazioni e possibili conseguenze, se cioè avesse veramente tentato di riportare la Chiesa alla sua originale cifra di povertà, sarebbe stato costretto alle dimissioni, o avrebbe dovuto rinunciare al suo progetto dopo qualche mese o anno. Ma non pensavo che poi un papa si sarebbe effettivamente dimesso, come ha fatto papa Ratzinger, e per ben altri motivi.
    Il mio romanzo non è quindi “profetico” come si legge in una recensione e, tuttavia, se veramente una profezia, anzi una  logica previsione, dovessi fare, adesso nel 2015, la riferirei alle possibili future dimissioni di papa Francesco, il quale va predicando assiduamente e coraggiosamente il valore della povertà, vale a dire, la supremazia dello spirito e della fede sulla materia ma, pur essendo il pontefice massimo dell’ultima monarchia assoluta, non potrà, a mio parere, mai riportare la chiesa alle sue origini.
    Si può mai, infatti, immaginare una chiesa del tutto spoglia di beni e di privilegi? Non esiste una chiesa, che io sappia, veramente povera e con nessun o minimo rapporto con i soldi. Pur se talvolta taluni ministri di culto possono essere singolarmente poveri, l’otto per mille pone sempre gli uffici delle alte gerarchie in grado di amministrare grandi somme.
    Ma credo che un improbabile reale tentativo di ritorno della Chiesa alla povertà evangelica, troverebbe i più accaniti oppositori, oltre che tra alcune alte e privilegiate gerarchie, anche al suo esterno e tra gli stessi fedeli. Pensiamo alle masse nominalmente cristiane che si perdono nei centri commerciali, e alle loro anime desiderose di beni, altro che di povertà! Pensiamo anche al diffuso sistema di lavoro produttivo di beni superflui che devono essere comprati con la retribuzione di altro lavoro spesso alienante di operai, manager eccetera. Ma pensiamo soprattutto agli interessi e alla visione della vita degli uomini che governano la finanza. I ricchi e i potenti potrebbero certo essere a favore della povertà, degli altri, ovviamente, ma non potrebbero rinunciare alla propria ricchezza se non in seguito ad una loro molto improbabile conversione a nuova vita.
    Ma poi, dopo tutto, cos’è veramente la povertà? Perché Gesù ama i poveri? Perché tutti gli uomini veramente grandi, un San Francesco, un Buddha e anche  un Diogene, un Epicuro, un Socrate, e diversi altri erano e sono poveri? Quale povertà predicavano, quale praticavano? Epicuro non possedeva ricchezze ma viveva bene e felicemente, circondato da fedeli amici, in un ameno giardino. Gesù stesso non era misero e fu accusato di essere un mangione e un beone (Matteo 11,19); Socrate abitava nella casa avuta, insieme a settanta mine, dal padre in eredità, e non viveva nella miseria. E allora il termine “povertà” non deve essere fatto equivalere a miseria e indigenza. Occorre quindi veramente dire e precisare che esiste una estrema povertà subìta e involontaria che abbassa e rende schiavi, ma v'è anche una povertà positiva, coincidente con la vita semplice, che libera ed eleva l'uomo; una condizione che potrebbe essere scelta liberamente in base ad una riflessione congrua e realistica attorno ai valori sostanziali della vita. La vita semplice e quindi vissuta in positiva povertà, è quella di chi conosce le sue vere necessità e si libera dai bisogni indotti, dal totem dello sviluppo a tutti i costi, dall’adorazione dei soldi e del profitto, dal feticcio della crescita, dal consumo infinito che consuma se stesso.
    Si tratta quindi della condizione esistenziale di uomini saggi, padroni del loro tempo, che non si credono infelici perché non possiedono cose inutili e superflue. Nulla vieta, inoltre, che la povertà positiva si leghi all’educazione, alla cultura, alla convivialità, all’armonia relazionale e a un ottimo rapporto con l’ambiente. Anzi, potrebbe rivelarsene un utile presupposto.
    Adesso la finanza e il profitto economico ci governano, e nello stesso tempo aumenta la disoccupazione, aumentano i nuovi poveri, ma non per propria scelta, perché preferirebbero essere ricchi o benestanti. Eppure, i nuovi poveri, e non solo loro, cominciano a sospettare che la vera ricchezza non è costituita dai soldi e non può essere regolata dai centri di potere finanziario.
    Anche pensando alla ricchezza, quindi, dobbiamo riflettere soprattutto su ciò che veramente la costituisce. In realtà, la vera ricchezza proviene dalla creatività: è creata da tutti coloro che producono beni e servizi necessari, idee positive, ricerca, collaborazione. I veri produttori di ricchezza sono quindi gli artigiani, i contadini, gli operai, gli educatori, gli scienziati, gli scrittori, gli artisti, i ricercatori, gli onesti amministratori, i custodi delle risorse naturali, eccetera. La loro ricchezza è umana ed è costituita da capacità, valore e intelligenza, più che da cose e soldi. Costoro hanno, però, poco o nessun potere rispetto a chi non produce nulla ma sa ben gestire il danaro e compie grandi operazioni finanziarie e speculative.
    Occorre, quindi, che i veri produttori di ricchezza diventino profondamente consapevoli del loro valore costruendo, nello stesso tempo, una vera democrazia libera dal potere del denaro, inventando e realizzando approcci esistenziali e di convivenza nuovi, fondamentalmente umani e apportatori di felicità, abbandonando la visione dell’uomo come fattore prevalentemente economico per concepirlo un essere umano, umanamente e felicemente relazionale. Si tratta, in altre parole, di valutare con grande passione e serietà quale sia il nostro vero benessere, o felicità che dir si voglia. Ed è proprio la felicità, in fin dei conti, ciò che gli uomini in generale desiderano e perseguono, seppur con approcci e metodi diversi.
    Christine, il personaggio principale del mio romanzo, segue e impersona, secondo me, un possibile giusto approccio verso la felicità e la vita buona, ed è felice non perché ha ma perché è. Ed in questo senso lei è non solo essenzialmente cristiana ma è forse e prima di tutto un essere umano evoluto; è cioè saggia, alla maniera dei veri saggi, e forse più alla maniera di un Epicuro. Questi, infatti, diceva che se non c’è dolore fisico né sofferenza mentale, allora la vita in sé e di per se stessa è un piacere; e quando realizziamo questo essenziale piacere, allora non abbiamo bisogno d’altro, ma solo di soddisfare i bisogni fondamentali: cibo, rifugio, creatività, amicizia.
    E questa saggezza, secondo me, è trasversale rispetto ai vari credi, alle varie filosofie e religioni, che possono diventare, quindi, mezzi e vie verso la realizzazione dell’umanità e della felicità. Oltre ad affrancarsi dai soldi e dalla loro schiavitù, e quindi dalle correnti visioni materialiste, economiche e finanziarie del mondo, è necessario riconoscere, quindi, le cause e le condizioni profonde della felicità, rivendicarne il diritto e realizzarla, pur e forse preferibilmente nella cornice di una vita semplice e umanamente ricca.
    Non si tratta, quindi, di diventare mendicanti o transeunti, come i primi discepoli di Gesù, o dei San Francesco, o andare a vivere in un romitorio. Ci occorre, invece, individuare da un lato i nostri bisogni reali e fondamentali, che devono essere soddisfatti e, d’altro lato, dobbiamo scoprire o riconsiderare i fattori importanti che rendono la vita pregnante, profonda, felice, degna di essere vissuta.
    Non abbiamo bisogno di più soldi, ma di giustizia, solidarietà, amicizia, onestà, creatività, lavoro vocazionale, pace, amore verso la natura, nostra madre. Non abbiamo neanche bisogno di correre verso le cose e le posizioni di privilegio, lontano da noi stessi. Ci liberiamo anche, quindi, dalla sindrome del consumo che consuma il mondo.
  
 Sergio di Giacomo scrive su Moleskine:
Il romanzo del papa povero che va in papa bus                                                     
    La letteratura riesce sempre a sorprendere con la propria capacità profetica di anticipare temi e anche scene della piccola e grande storia. Ne è un esempio lo scrittore e artista Eliseo Laganà, attento alle tematiche spirituali, capace di immaginare e anticipare la scena del nuovo papa Francesco che si sposta a Roma a bordo di un pullman, attorniato dai cardinali.     
    Troviamo la scena del papa che va in bus nel romanzo Il sorriso di Christine Rom e le dimissioni del papa, scritto da Laganà circa tre anni fa, in cui viene descritto il papa che “si mescolava alla gente comune e viaggiava in autobus, e quando vi saliva l’atmosfera diveniva reverenziale. E l’autobus, a cui adesso veniva data la precedenza sugli altri mezzi, diventava una specie di papabus che procedeva tagliando la folla acclamante”.
    Nelle pagine del romanzo, ambientato tra la Sicilia, Roma e l’Inghilterra, troviamo anche la visione profetica del pontefice che, come papa Ratzinger, si dimette avvolto da una crisi interiore: (“Egli si sarebbe trovato di fronte alla scelta di continuare a essere il capo di una gerarchia di pastori senza più gregge e senza potere, cioè il capo di un apparato cerimoniale e di rappresentanza, oppure di essere fedele a se stesso, alla sua vocazione di servo di Dio”).
    Laganà da tempo studia i fenomeni sociali legati al capitalismo finanziario e all’impatto sulla realtà degli “ultimi”, dei poveri, degli emarginati. Un filone socio-economico che ha approfondito presso lo “Schumacher College”, centro di ricerca inglese che promuove studi legati all’economia alternativa e attenta ai bisogni sociali e culturali seguendo lo slogan “small is beutiful”.
    Lo stesso romanzo, ricco di riferimenti  filosofici e citazioni evangeliche, ha come protagonista una ragazza rom che vive in una città siciliana e diventa punto di riferimento per il manager inglese Paul deciso a trovare una nuova strada alla sua esistenza, combattendo la rapacità di Euro che invade la vita di tutti i giorni.
    “Ho scritto questo romanzo per l’esigenza di testimoniare il desiderio della Chiesa di aprirsi agli orizzonti di autentica fratellanza e solidarietà, di semplicità e umiltà,  immaginando la figura di un papa denominato Giusto, ispirata alla figura di papa Luciani, che si sente a disagio tra i tesori ecclesiastici e cerca di vendere i beni della Chiesa, trovando resistenze nella Curia, e decide pertanto di divenire eremita”, osserva Laganà, che vanta esperienze presso la comunità di Taizè e un vissuto “nomade” in monasteri in Inghilterra, Scozia, Germania, Toscana, alla riscoperta della semplicità. Le stesse cifre esistenziali che Papa Francesco, come il Giusto del romanzo, semina nel mondo con la sua umile tenerezza e compassione. 

La Gazzetta del Sud scrive:


 Nel libro dello scrittore Eliseo Laganà il racconto di una profezia d’amore in  una Messina dal litorale risanato
Christine la Rom e la profezia di Maregrosso
“Ho scritto il libro tre anni fa, ignaro  di ciò che nel frattempo stava accadendo a Maregrosso”. Parole che lasciano un po’ spiazzati e incuriositi quelle di Eliseo Laganà, autore del libro “Il sorriso di Christine Rom e il declino di Euro”. A fare da sfondo alla storia di rinascita spirituale narrata nel romanzo dello scrittore e pittore messinese – presentato nei giorni scorsi alla Galleria  “il Gabbiano”, in un incontro in cui sono intervenuti, oltre allo stesso autore, la dottoressa Maria Froncillo Nicosia, la professoressa Daniela Irrera, dell’Università di Catania, e il poeta Vittorio Morello – è infatti una località chiamata Maregrosso, nell’immaginaria città siciliana di Bulla, ovvero Messina, luogo malsano risanato e trasformato in un’area finalmente fruibile, dove i cittadini vivono in perfetta armonia con una comunità rom, cui appartiene la protagonista del romanzo, la magnetica Christine.
    Quasi naturale, quindi, pensare che l’autore si sia ispirato al processo di recupero avviato, e che si spera sarà portato a termine, in una delle più belle e al contempo degradate zone della città. Invece, niente di tutto ciò. Sarebbe coincidenza? Probabile.
   Eppure non sono pochi i punti che danno all’opera un carattere “profetico”, non solo per i riferimenti a Maregrosso.
    Al centro del romanzo, al momento acquistabile on line sul sito ilmiolibro.it, la straordinaria esperienza del manager inglese Paul, che in vacanza a Bulla, prende alloggio in un albergo di Maregrosso: qui viene in contatto con gli zingari del posto e presto resterà ammaliato da Christine, dal suo sorriso e dalla spiritualità (per lei Dio è madre, chiaro riferimento al pensiero di Papa Luciani) che questa solare rom emana, tanto da cambiare vita.
   L’uomo d’affari, che credeva che tutto, la felicità compresa, potesse essere comprato, subirà infatti una profondissima trasformazione, fino a farsi povero. Attorno ai due protagonisti ruotano altri personaggi, Mario l’asceta, e Papa Giusto. Ed è dal ritratto di questa figura, ispirata a quella del grande Santo di Assisi, che emergono delle autentiche profezie.
    Papa Giusto, infatti, sogna una Chiesa nuovamente povera (non ricorda, in questo, Papa Francesco?), ma ostacolato nel suo progetto alla fine, proprio come farà nella realtà Benedetto XVI, decide di dimettersi. Al di là delle suggestioni profetiche  (…) ciò che colpisce del libro, è soprattutto il messaggio che esso contiene: la felicità va trovata in sé stessi e liberarsi dalle catene di una società basata solo sui valori materiali è possibile: “La felicità – ha detto Laganà – non dipende dalle cose possedute ma dall’energia che ognuno di noi ha e dalla capacità di metterci in relazione con il nostro essere”. (I.d). Gazzetta Del Sud, Messina 9 Giugno 2013






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L'edizione cartacea del libro si trova qui:





[1] Dati apparsi su La Repubblica del 23 marzo 2006